Emmanuel Macron tiene un discorso al Congresso e il progetto per un nuovo accordo sull'Iran prende forma: un accordo che non incontra il sostegno degli altri partner europei e meno che mai la disponibilità di Teheran e dei suoi alleati russi, a dir poco irritati dall'iniziativa franco-americana.
Se il giorno prima il presidente francese e quello americano (quest'ultimo assai più spiccio nel liquidare l'accordo esistente, voluto e firmato anche dal suo predecessore Barack Obama, «un disastro») avevano trovato un compromesso nell'indicare insieme la necessità di una revisione dell'intesa del 2015, ora si parla di punti concreti. Anche perché i tempi stringono: il prossimo 12 maggio scade una delle periodiche certificazioni dell'accordo da parte della Casa Bianca, ovvero la conferma in base a una legge Usa che l'Iran rispetta i patti e che l'intesa con Teheran continua a essere nell'interesse nazionale. E Trump sembra avere una voglia matta di dare una svolta in direzione opposta.
Al Congresso Macron parla della necessità di arrivare con Teheran a un'intesa nuova che tenga conto non solo del dossier nucleare iraniano, ma anche della più ampia minaccia che rappresenta per la regione l'attivismo militare di Teheran. Al tempo stesso però il leader francese chiarisce che non manderà all'aria l'intesa esistente prima che si riesca a costruirne una nuova. «Questa politica non deve portare alla guerra in Medioriente - ha detto Macron - dobbiamo portare stabilità e rispettare la sovranità, anche quella dell'Iran, che rappresenta una grande civiltà. Non dobbiamo ripetere gli errori del passato nella regione, non dobbiamo essere naif, non dobbiamo creare nuove guerre».
Macron afferma che «si deve lavorare per costruire con l'Iran un accordo nuovo fondato su quattro pilastri»: l'accordo esistente come base; la certezza che dopo il 2025, allo scadere dell'intesa attuale, l'Iran continui a non avere la bomba atomica; il monitoraggio dell'attività missilistica iraniana che minaccia l'intera regione, Israele compreso; il contenimento dell'influenza militare iraniana in Medioriente. Vaste programme, specialmente considerando la generale indisponibilità degli altri soggetti interessati, a partire dall'Unione Europea (per la sua rappresentante per la politica estera Federica Mogherini «l'accordo funziona e va preservato»).
Da Teheran e da Mosca arriva uno scontato no assoluto: ma se il Cremlino si limita a ricordare che l'accordo esistente «è frutto degli sforzi di tanti Stati ed è senza alternativa», il presidente iraniano Rouhani perde le staffe e alza i toni: «Con quale diritto parla Macron ignorando le posizioni degli altri Paesi Ue che hanno siglato l'intesa del 2015?». E Trump, che «è un commerciante, un imprenditore, un palazzinaro, come può giudicare questioni globali?».
Forse l'aggressività verbale di Rouhani si spiega anche con la contemporanea missione a Washington del ministro della Difesa israeliano. Il «falco» Avigdor è volato nella capitale americana per incontrare altri due «falchi» dell'amministrazione Trump: il capo del Pentagono, James Mattis, e il nuovo consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton (quest'ultimo in particolare notoriamente ostile ai compromessi con il regime degli ayatollah).
I temi dei colloqui sono inequivocabilmente sgradevoli per Teheran: l'espansione dell'Iran in Medioriente e la questione siriana, oltre al ringraziamento «ai nostri amici americani per il trasferimento dell'ambasciata a Gerusalemme, il regalo perfetto per le celebrazioni del settantesimo anniversario di Israele».Domani sarà a Washington anche Angela Merkel. La cancelliera tedesca, ancor più di Macron, cercherà di convincere Trump a muoversi con cautela.
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