La scelta di Matteo Renzi di immolare sull'altare del rigore uno 0,2% aggiuntivo del pil (3 miliardi) ha lasciato nello sconcerto fette della maggioranza non impegnate nel dibattito Cgil/Leopolda.
Quei 3 miliardi che andranno a migliorare il deficit strutturale del 2015, che salirà così da una correzione dello 0,1 ad una dello 0,3%, verranno prelevati dal cosiddetto Fondo di riserva. Una specie di salvadanaio che il ministero dell'Economia era pronto a rompere per dare copertura finanziaria agli emendamenti parlamentari: prima alla Camera, poi al Senato. Lo schema messo a punto al Mef prevedeva che a Montecitorio fossero destinati 2 miliardi, ed a Palazzo Madama la parte restante: 1,4 miliardi.
Con la decisione del presidente del Consiglio a Bruxelles, questo Fondo evapora di colpo (sulla carta resterebbero 400 milioni). Ne consegue che le ambizioni di visibilità politica che i parlamentari avevano in mente di cavalcare, resteranno riposte nel cassetto.
In tal modo, però, il governo rischia di innescare ulteriori mal di pancia nella sua maggioranza; che non avrà opportunità finanziarie per emendare la legge di Stabilità: il Fondo pensato a tal fine è stato prosciugato dalla lettera della Commissione Ue. E le poche modifiche che verranno ammesse dovranno passare un doppio esame: politico da parte di Palazzo Chigi, tecnico della Ragioneria generale dello Stato.
E non è difficile immaginare che i pochi emendamenti che otterranno semaforo verde dalla commissione Bilancio, saranno quelli presentati da chi ha avuto maggiori frequentazioni con la Leopolda che con Piazza San Giovanni.
Il percorso immaginato a Palazzo Chigi, infatti, prevede che il governo chiederà il voto di fiducia sulla manovra (com'è tradizione). E lo chiederà sul testo che uscirà dalla commissione Bilancio. Renzi sembra abbia fatto sapere di essere allergico ai cosiddetti maxi emendamenti, presentati dal governo al termine del dibattito parlamentare.
A Montecitorio, però, il presidente del Consiglio deve fare i conti con il presidente della commissione Bilancio. Francesco Boccia - anche se non è stato visto in piazza con la Cgil - non può essere classificato fra i renziani di lungo corso. Al contrario, spesso è stato protagonista di polemiche a distanza con il segretario del Pd. Ma a Palazzo Chigi sono fiduciosi dello schema messo a punto.
Qualche preoccupazione, invece, viene da Bruxelles. La partita europea sui conti pubblici italiani è tutt'altro che finita. Renzi può aver avuto ragione del primo tempo (accordando 3 miliardi per ridurre il deficit strutturale), ma tutta da giocare è la partita sulla mancata riduzione del debito.
Dieci anni fa, il peso medio del debito pubblico sul pil nei paesi dell'area euro era del 65%. Oggi è del 95%, anche a causa degli interventi pubblici per salvare gli istituti di credito o per attutire gli effetti della crisi. Solo la Grecia, però, ha un debito (in percentuale) maggiore di quello italiano. Ne consegue che gli occhi dei burocrati di Bruxelles (un po' permalosi di natura) si concentreranno nei prossimi giorni sulla mancata riduzione del debito nazionale. Le parole di Renzi nei loro confronti non li ha riempiti di gioia.
E gli italiani che frequentano le stanze della Commissione si aspettano iniziative contro il governo. Stefano Sannino, rappresentante presso la Ue, tenterà di mitigarle. Ma dal 1° gennaio Sannino tornerà nei ranghi della Commissione: è un funzionario europeo anche lui.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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