"Tiravano sassi ai miei figli" Mamma pestata dai profughi

Roma, scoppia rivolta nel quartiere rosso. Accoltellato l'eritreo che aveva tentato di aggredire alcuni ragazzi

"Tiravano sassi ai miei figli" Mamma pestata dai profughi

Una scintilla e scoppia la rivolta tra residenti e immigrati ospiti del centro di accoglienza di via del Frantoio, al Tiburtino III, storico quartiere «rosso» della Capitale. Ad avere la peggio una donna, Pamela, che mostra tagli, lividi e botte rimediate durante un tentativo di «sequestro» all'interno del centro, e un ragazzo eritreo, ferito alla schiena non gravemente con un coltello, o forse una bottiglia rotta. Per il ferimento di quest'ultimo, la procura di Roma ipotizza il tentato omicidio. Ma la dinamica degli eventi non è del tutto chiara. Quello che è certo è che tutto è cominciato martedì sera alle 22.30, quando quattro ragazzini - Mattia, Francesco, Raoul e Maverik, 13 anni il più grande, appena un anno e mezzo il più piccolo del gruppo, stanno giocando in via Trivento, tra un «nasone» che butta acqua e i cassonetti dell'immondizia. Lì di fronte un eritreo di 40 anni, già ospite del centro, poi allontanato forse per le sue intemperanze, ma che comunque continuava a bazzicare la zona. Per qualche motivo, l'africano comincia a lanciare sassi verso i ragazzini, senza colpirli. Uno di loro però chiama la mamma, Pamela, che a quel punto decide di chiedere conto all'eritreo del suo comportamento. L'uomo appena viene affrontato dalla donna se la dà a gambe e corre verso il vicino centro, inseguito da Pamela, scortata da due figli del suo compagno. Arrivata al primo cancello, racconta lei, l'uomo si nasconde tra gli altri ospiti, che l'avrebbero presa e trascinata nel centro, impedendole di uscire e bloccando anche il 12enne. La donna finisce a terra, immobilizzata, graffiata, ferita. Le urla attirano un gruppetto di residenti del quartiere, che forzano il cancello e cercano di riportare fuori la donna, che dice di essere stata a quel punto nuovamente trascinata sull'asfalto dai migranti per riportarla nel centro, ma che alla fine riesce a divincolarsi e a scappare. Per terra, però, mentre arriva al polizia a riportare la calma e a dividere le fazioni, resta l'eritreo, con una piccola ferita da arma da taglio alla schiena. I residenti negano di averlo accoltellato, insistono di essere entrati solo per mettere in salvo donna e bambino, e giurano di non aver portato «nient'altro che le mani», trovandosi di fronte «decine di africani armati: uno col coltello, un paio con bottiglie rotte, gli altri con tubi di ferro», ricorda per esempio Yari, uno degli abitanti della zona che è intervenuto due sere fa, aggiungendo che «tra l'altro non c'è nemmeno stata una vera rissa, solo spintoni, strattoni, qualche schiaffo, qualche colpo. E meno male, perché eravamo disarmati e in netta minoranza, decine di loro contro quattro-cinque persone». Dal centro, invece, alcuni degli ospiti avrebbero parlato di «spedizione punitiva», e forse proprio il timore di una vera «rivolta» da parte degli ospiti, non accettati troppo di buon grado in un quartiere difficile, potrebbe aver innescato la corsa alle armi dei migranti, facendo degenerare l'episodio iniziale in una zuffa con feriti.

Resta l'inchiesta aperta dalla procura, e resta pure quel «centro transitanti», dove qualche anno fa la Croce Rossa, che lo gestisce, ha trasferito - proprio accanto a una scuola elementare - gli ospiti di una tendopoli alle spalle della stazione Tiburtina. Resta, anche, il dubbio sul perché quell'uomo, forse con problemi mentali, dopo l'espulsione dal centro continuasse a vivere lì intorno, per strada.

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