Uno dopo l'altro, morti in due per tentare inutilmente di salvare un compagno. È tragico il bilancio di una domenica di mezza estate che avrebbe dovuto essere una giornata di svago e sport: tre subaquei, tra loro anche un medico, hanno perso la vita durante un'immersione nelle acque delle isole Formiche di Grosseto. Un quarto, un istruttore, è stato portato in ospedale ma le sue condizioni non sono preoccupanti. Si trova chiuso in una camera iperbarica ma nel giro di una giornata dovrebbe essere dimesso.
Le vittime facevano parte del club Thalassa di Perugia. Si tratta di Fabio Giaimo, noto medico perugino di 57 anni, Enrico Cioli, 37 anni e Gianluca Trevani di 35 anni.
L'allarme è scattato attorno a mezzogiorno, quando la sala operativa della Guardia costiera di Porto Santo Stefano ha ricevuto una richiesta di soccorso da un'imbarcazione salpata con un gruppo di subacquei in gita. I quattro erano insieme ad altre 11 persone. Quando i soccorsi sono arrivati per tre di loro non c'era più nulla da fare. In base a quanto ricostruito dalla Procura i quattro si sono immersi a circa 40 metri di profondità. Il più anziano, ad un certo punto, avrebbe cominciato a risalire battendosi una mano sul petto.
Gli investigatori ipotizzano che avesse voluto indicare che si stava sentendo male o che aveva finito l'aria e che, a quel punto, gli amici, per soccorrerlo, o forse presi dal panico, avrebbero cercato di riemergere troppo velocemente. Un errore fatale che porta a embolie o rottura dei polmoni. Resta però aperta un'altra ipotesi, come quella di bombole difettose, magari caricate in un ambiente malsano o con miscele sbagliate. Sembra strano che una delle vittime, medico anestesista- rianimatore e provetto sub (avrebbe dovuto rientrare oggi in Umbria per andare al lavoro in ospedale), possa aver commesso un errore così grossolano come quello di non rispettare i tempi di emersione.
Per evitare la malattia embolica, un subacqueo deve risalire lentamente, osservando una velocità di sicurezza di 9/10 metri al minuto e seguendo una tabella di pause che tiene conto delle profondità raggiunte e del tempo trascorso. «L'emersione rapida può avvenire però per vari motivi - spiega Luca Revelli, chirurgo endocrino del Policlinico Gemelli di Roma-: forse perché non si ha aria a sufficienza per rispettare le pause di decompressione, oppure perchè si sta soccorrendo un compagno di immersione o magari si è in difficoltà. Il risultato è appunto la malattia embolica che può manifestarsi in vari modi: cutanea, linfatica, articolare e, nella sua forma più grave, polmonare.
Nei primi tre casi, molto comuni tra i sub, basta quasi sempre una somministrazione di ossigeno 'normobaricò. Nel caso più grave è necessaria la camera iperbarica che serve a riportare il sub alla pressione maggiore che ha subito per consentirgli di effettuare tutte le tappe di decompressione necessarie».
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