Afghanistan in fiamme

La trattativa segreta tra la Cia e il mullah. Il summit dei Grandi col destino segnato

Lunedì l'incontro tra Burns e Baradar. L'intesa tra Usa e i talebani prima del G7

La trattativa segreta tra la Cia e il mullah. Il summit dei Grandi col destino segnato

Ci risiamo. Anche alla vigilia e nel corso di un G7 cruciale per restituirle credibilità agli occhi degli alleati, l'America di Joe Biden preferisce voltare le spalle agli amici per cercare, piuttosto, accordi e intese con quei talebani pronti a umiliarla e azzopparla. Il primo voltafaccia andò in scena durante i negoziati di Doha quando l' America di Trump prima, e di Biden poi, trattò tempi e modalità del ritiro senza neppure consultarsi con i paesi come Italia, Francia, Inghilterra che avevano combattuto e subito perdite sul fronte afghano. Il secondo voltafaccia, ancor più clamoroso visto il risultato del primo, è andato in scena a poche ore da un G7 organizzato proprio per garantire il sostegno alleato a un'America in difficoltà. Mentre Mario Draghi e gli altri capi di Stato e governo attendevano di collegarsi con Biden per decidere se prolungare le operazioni di evacuazione da Kabul, il Washington Post faceva sapere che il termine del 31 agosto era già stato confermato lunedì al termine di un incontro segreto tra il Direttore della Cia William Burns e il numero due dei talebani Abdul Ghani Baradar. Unico contentino i un piano d'emergenza messo a punto dal Pentagono e pronto a scattare se per un motivo o per un altro sarà necessario restare in terra afghana anche dopo fine agosto.

Una decisione a dir poco irrispettosa, per non dire oltraggiosa, nei confronti degli altri sei grandi. Anche perché, proprio lunedì, il presidente di turno del G7 Boris Johnson aveva chiesto alla Casa Bianca - d'intesa con il presidente francese Emmanuel Macron, la Cancelliera tedesca Angela Merkel e i vertici Ue - di allungare i tempi del ritiro. E a far capire l'irritazione per il gesto americano ci ha pensato - al termine dei colloqui - il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel. «Più leader - ha detto Michel - hanno espresso preoccupazione per questa scadenza del 31 agosto durante il G7, e la stessa preoccupazione mi è stata fatta presente dai capi di Stato e di governo al livello europeo, che vorrebbero cercare di estenderla». Ma la decisione di mandare William Burns a dialogare con quel Baradar che nel 2009 venne catturato proprio dalla Cia, è di fatto un ulteriore segnale della debolezza statunitense.

Allungare le date dell'evacuazione significava, infatti, rischiare di venir nuovamente ricattati dai talebani. Anche perché in cambio della dilazione i nuovi padroni dell'Afghanistan avrebbero potuto pretendere il versamento dei 450 milioni di dollari in aiuti congelati dal Fondo Monetario Internazionale o la consegna dei nove miliardi di riserve valutarie in dollari bloccate presso la Federal Reserve di New York. Di fronte all'insipienza americana, gli altri membri del G7 hanno cercato di proporre strategie per far pressione sui talebani e ottenere canali d'uscita per chi vorrà lasciare il paese anche dopo il 31 agosto. «La condizione numero uno è che garantiscano un corridoio sicuro a tutti coloro che vorranno andarsene» ha detto il premier britannico Johnson aggiungendo che il G7 dispone di «enormi leve» per cercare di condizionare il gruppo jihadista anche dopo il ritiro.

In verità, però, nessuno ha saputo suggerire modi efficaci per far pressione sui talebani e ottenere la realizzazione di corridoi umanitari. Più realista il premier Mario Draghi che ha preferito sottolineare la necessità di «mantenere un canale di contatto anche dopo la scadenza del 31 agosto» confermando la volontà di trasferire l'emergenza Afghanistan al G20 di settembre. Durante quel vertice spetterà alla presidenza italiana sollecitare l'intermediazione di Russia e Cina per esplorare la possibilità di un dialogo con i talebani. Nel frattempo Draghi ha ribadito la necessità di «assicurare che le organizzazioni internazionali abbiano accesso all'Afghanistan» già all'indomani del 31 agosto per capire cosa sta avvenendo effettivamente nel paese. Ma Draghi ha anche ricordato agli altri sei grandi la necessità di «compiere sforzi enormi» per garantire quell' «approccio coordinato e comune» al problema dei rifugiati che non è stato raggiunto finora né a livello europeo, né internazionale.

Perché sarà inutile garantire agli afghani l'uscita dal paese se poi nessuno in Europa e negli Stati Uniti sarà disposto ad assumersi l'onere della loro accoglienza.

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