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Trump e l'assalto al Congresso "Si è goduto lo spettacolo in tv"

Arringa contro l'ex presidente: "Ha abdicato al suo dovere, non ha fatto nulla per fermarlo". Liz Cheney: "È pericoloso"

Trump e l'assalto al Congresso "Si è goduto lo spettacolo in tv"

Washington. Poco più di tre ore, per l'esattezza 187 minuti. È lo spazio temporale intercorso tra le 13 del 6 gennaio 2021, la fine del comizio tenuto da Donald Trump all'Ellipse, il parco a sud della Casa Bianca, e le 16.17, quando l'allora presidente diffuse un video in cui, con riluttanza - «we love you», disse - invitò i suoi sostenitori a mettere fine all'assalto a Capitol Hill. È su queste tre ore che si è concentrata la Commissione della Camera dei rappresentanti, per inchiodare Trump alle sue responsabilità mancate di commander in chief e difensore della Costituzione, che non solo non ha fatto nulla per fermare l'assalto ma addirittura si è seduto davanti alla tv per godersi lo spettacolo.

L'ex presidente, è l'accusa, «si rifiutò di agire per difendere il Campidoglio». Il luogo sacro della democrazia Usa, dove la certificazione dell'elezione di Joe Biden alla Presidenza venne sospesa al grido di «impicchiamo Mike Pence», il vice presidente che si era rifiutato di invalidare il voto, come gli chiedeva Trump, da una folla di invasati convinti di essere gli ultimi difensori delle virtù dell'America. Con un'abile regia, degna delle migliori docufiction, la Commissione ha riservato per l'ultima udienza pubblica, il season finale, l'atto d'accusa più grave per Trump, quello che, agli occhi degli americani, dovrebbe mostrarlo definitivamente inadatto a ricoprire la carica più alta della nazione, meno che mai a riprovarci nel 2024. Se basterà, anche dal punto di vista giudiziario a fermare l'ex tycoon, resta da vedere.

Il dipartimento di Giustizia, che sta indagando sulla tentata insurrezione del 6 gennaio indipendentemente dalla Commissione, non ha ancora presentato accuse formali. E l'ala trumpiana dei Repubblicani, sperando in un ribaltamento degli equilibri parlamentari nelle elezioni di medio termine di novembre, già annuncia una contro-commissione per smontare il lavoro fatto dall'attuale organismo. Per giungere all'atto finale, la Commissione guidata dal democratico Bennie Thompson, dopo un anno di indagini a porte chiuse ha presentato nelle varie udienze pubbliche decine di testimonianze e centinaia di documenti, registrazioni e filmati che dimostrerebbero la volontà, da parte di Trump e della sua cerchia più ristretta, di sovvertire in maniera fraudolenta e premeditata il risultato del voto del novembre 2020. Prima la narrazione del «voto rubato», dei presunti brogli elettorali, accompagnata dalle teorie complottiste più improbabili, compresa quella di satelliti italiani usati per hackerare il voto. Tutte accuse respinte dai tribunali, che sono anche costate a Rudolph Giuliani, l'ex sindaco di New York, eroe dell'11 settembre, diventato legale di Trump, la licenza di avvocato.

Poi, l'alleanza con i gruppi di estrema destra, come gli Oath Keepers e i Proud Boys, pifferai magici dell'insurrezione, che il 6 gennaio, dopo il comizio di Trump, guidarono la folla su Capitol Hill. Infine, il rifiuto dell'ex presidente di agire per fermare le violenze.

A poco sono serviti, è stato mostrato nelle udienze, gli interventi dei pochi alla Casa Bianca, tra quelli che non avevano già abbandonato la nave che stava per schiantarsi contro l'iceberg del tradimento della Costituzione e di gravissime accuse giudiziarie. Come l'ex consigliere Pat Cipollone, che chiese all'allora capo dello staff della Casa Bianca di costringere Trump a intervenire o «moriranno delle persone». La risposta fu: «Trump non intende intervenire».

Se tutto questo servirà a far cambiare idea all'America trumpiana su quanto avvenne veramente il 6 gennaio o a fermare le rinnovate ambizioni presidenziali dell'ex tycoon è troppo presto per dirlo. A salvare l'onore di un Partito repubblicano ancora appiattito sulla retorica trumpiana ci ha pensato Liz Cheney, vice presidente della Commissione, figlia di Dick Cheney, vice con George W. Bush e «falco» dell'invasione dell'Iraq. Sfidando le ire del partito, il suo volto è emerso come quello di una destra ansiosa di liberarsi dall'incantesimo trumpiano e ritrovare sé stessa, a difesa delle istituzioni.

La sua presa di posizione, probabilmente, le costerà la rielezione a novembre.

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