Sarebbe morto per un cappellino da baseball. Non l'ha ceduto al trafficante che glielo chiedeva e lui gli ha sparato. Aveva solo 21 anni e non 10 come inizialmente era stato fatto trapelare. Il corpo del giovane, della Sierra Leone, è arrivato ieri a Catania vegliato in viaggio dal fratello. A bordo della Phoenix della Ong Moas c'erano poi 394 immigrati. Sarà la Squadra mobile etnea delegata dalla procura distrettuale di Catania ad accertare quanto accaduto sentendo gli immigrati, visto che le dichiarazioni rese al personale delle Ong non ha valore probatorio.
A bordo della nave c'era Regina Catambrone, fondatrice del Moas col marito Christopher. È stata lei a sottolineare la liceità dell'operato del Moas. «Non ho mai ricevuto telefonate da scafisti. Odiamo i trafficanti di persone. Non siamo trafficanti, ma persone che non sono riuscite a restare indifferenti alle morti in mare ha detto sottolineando di avere sempre parlato con la guardia costiera italiana -. Dopo la terribile tragedia delle 368 persone morte al largo di Lampedusa abbiamo partecipato a Mare Nostrum rispondendo anche all'appello dell'Europa che chiedeva un intervento concreto per aiutare l'Italia. Risposta che non c'è stata da nessuno, tranne che dalla società civile e da alcuni singoli, come me e mio marito. Abbiamo sempre cooperato con tutti, con Frontex, con la Marina militare italiana, e chiediamo rispetto».
E sull'inchiesta conoscitiva aperta dalla procura di Catania riguardo all'operato delle Ong e ai finanziatori, che vede i riflettori puntati in maniera particolare proprio sul Moas, ha detto: «Tutti mi chiedono di questo procuratore, ma io non lo conosco e credo che lui non conosca né me né mio marito. Se bisogna fare un'indagine ben venga, ma non gli stillicidi mediatici, facciamoli nelle aule dei tribunali con porte chiuse e segretezza». E ancora: «Il procuratore di Catania avrà avuto i suoi buoni motivi per parlare» ma «le sue parole hanno creato un effetto domino» con «l'intervento della politica». E ha ribadito di «non avere ricevuto alcuna informazione dalla procura», ma di «avere saputo la notizia dai media». E se incontrerà il procuratore «lo saluta e lo abbraccia come un fratello». Ma al procuratore non serve alcun abbraccio, quanto una collaborazione che non sembrerebbe arrivare sui fondi.
«I conti? ha detto la Catambrone - Sono pronta a consegnarli alla procura se ce lo chiede, purché restino riservati. Noi abbiamo anche un'etica nel raccogliere fondi e abbiamo accettato contributi soltanto da chi aveva dei requisiti da noi fissati con rigore. E finora tutti li hanno avuti».
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