Guerra in Ucraina

Ucciso un reporter americano. Minaccia Usa: "Risponderemo"

Brent Renaud colpito mentre filmava i profughi in fuga da Irpin. Washington: ci saranno conseguenze adeguate

Ucciso un reporter americano. Minaccia Usa: "Risponderemo"

Stava filmando i profughi in fuga, il reporter americano Brent Renaud, 51 anni compiuti da un mese, quando un proiettile russo alla gola ha strozzato per sempre la sua voce dal fronte. È morto così il primo giornalista di questa guerra, ieri al 18esimo giorno d'invasione dell'Ucraina da parte di Mosca. Freddato, con un colpo d'arma da fuoco dopo un secondo checkpoint nel sobborgo di Irpin, a una ventina di chilometri a nord-ovest della capitale Kiev.

L'episodio innesca immediatamente la reazione politica degli Stati Uniti: «Risponderemo in modo direttamente proporzionale», tuona il Consigliere per la sicurezza americana Jake Sullivan. «Seguiremo quest'ultimo sviluppo molto da vicino». La Russia pagherà «gravi conseguenze». Dichiarazioni, rese alla Cbs da un uomo della Casa Bianca, che aprono a ipotesi imprecisate: «Mi consulterò con i miei colleghi, con gli ucraini, per determinare come sia accaduto per poi misurare ed eseguire conseguenze appropriate», insiste Sullivan.

Da giorni nell'area si contano i cadaveri civili a terra. Chi può, vive per quanto possibile al riparo in cantine diventate bunker. Rifugi di fortuna. Renaud era con due colleghi, in viaggio. Su strada, a bordo di un'auto costretta a un'inversione a U alla vista dei russi. Niente da fare. Juan Arredondo, uno dei colleghi con lui, viene portato in ospedale, ferito, e ad Annalisa Camilli di Internazionale racconta da una barella la dinamica su cui ora indaga la magistratura di Kiev: sono stati bersagliati, perché andavano incontro agli sfollati vittime dell'occupazione russa. Dopo la tragica notizia, da ieri il sindaco di Irpin ha vietato ai giornalisti di entrare nella cittadina. «Stop perché vogliamo salvare loro la vita». Renaud a Irpin era solo uomo con in mano una fotocamera e un taccuino nella tasca. Ma negli Usa era un noto documentarista di guerra: riconoscibile sul campo dal badge e dalla scritta «PRESS», in vista sul giubbotto. Il suo viso, stampato sulla foto della card che aveva addosso, ha fatto pensare che fosse un reporter del New York Times. Perché «è stato trovato con il tesserino che gli era stato dato per una missione anni fa», ma «anche se aveva collaborato in passato (più recentemente nel 2015) non si trovava in missione per il quotidiano», si legge nella nota del NYT. Un equivoco che non cambia la sostanza. Anzi in giorni in cui la disinformazione galoppa ogni precisazione puntale è ben accetta.

La notizia della morte fa il giro dei social grazie al capo della polizia della King Region, Andrei Nebitov. Poi, arrivata alle cancellerie, scatta la reazione. Dagli Usa, Sullivan parla di un atto «orribile e scioccante» dei russi. Si alzano le «cortine» che separano l'approccio occidentale da quello delle autocrazie. Emmanuel Macron, il presidente francese, ricorda che «la libertà di informare è fondamentale per le nostre democrazie». E che prima di Renaud altri giornalisti sono stati presi di mira, feriti o sequestrati. Alcuni giorni fa anche una troupe di Sky News era stata bersagliata dai russi in Ucraina. Sul campo le raffiche mirano ormai ad altezza uomo. A cadere non sono più «solo» postazioni militari, soldati e mezzi della resistenza. Ma professionisti dell'informazione, in Ucraina per raccontare l'orrore della guerra. Bersagli scomodi. Ma disarmati e più facili da uccidere. Renaud aveva passato gli ultimi vent'anni a produrre reportage con il fratello, con testimonianze filmate da teatri di guerra, Iraq, Afghanistan, ma pure da Haiti, dalle piazze del Maghreb. Diversi premi vinti: dal Peabody all'Ida Award per la miglior serie tv; due Overseas Press Club, due Columbia Dupond e un Edward R. Murrow Award per il lavoro con il Nyt. Oltre alle nomination agli Emmy, il plauso da Rolling Stones, Usa Today, Forbes e Filmmaker Magazine.

Stavolta è stata la sua morte a fare notizia.

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