P ersino sotto le mura di Troia, dopo l'armi e le tenzoni, ci si concedeva il lusso di raccattar morti, recuperare feriti, pulire il sangue. Ma non c'è (più) tempo, non c'è (mai) tempo, in questo tempo che cambia sotto gli occhi di eserciti stremati, anzi un po' attoniti, di mura costituzionali ormai sfondate.
Il tempo è finito: Matteo Renzi è davanti, dentro, sopra e dietro il cavallo di legno di una maggioranza parlamentare che si appresta a tagliare la testa a chi s'attarda con le bazzecole: robetta tipo Carta, regole, regolamenti. La rissa notturna - due deputate di Sel in infermeria (Duranti e Melilla), un altro (Airaudo) sotto inchiesta per essere saltato sul banco, altri (Sel e Pd) per essersele date in aula e infine l'arrivo del premier in giubbetto di pelle - produce un (quasi) inedito Aventino delle Opposizioni Unite, volendo anzi sperando che si possa escludere quello contro l'involuzione autoritaria del Fascismo.
Una giornata perciò a suo modo storica e strana, cominciata con l'idea che ci si potesse fermare a riflettere per qualche attimo, e via via rotolata nel modo che tutti - a parole - dicevano di voler scongiurare. A cominciare da una inadeguata e «rammaricata» (a gettone) presidente Boldrini. «Il Pd farà tutto il possibile», annunciava più volte il capo dei deputati, Roberto Speranza. Senza mai dimenticare però il dito sul grilletto: «Fra fermare le riforme e votarle da soli, le votiamo da soli». Grande compattezza e grande autocontrollo, le parole d'ordine di un gruppo reso gigantesco (307 deputati) da una legge incostituzionale, il Porcellum , e che pure s'è trovato in affanno e sul punto di richiamare i propri uomini di governo dalle missioni. Ma soprattutto un Pd- Moloch che si ritrovava paradossalmente solo, isolato, emarginato nella sua grandeur assai farlocca, autoreferenziale e per questo ancor più arrogante.
Così man mano che arrivavano le chiusure in aula e nelle capigruppo, e le notizie dalla prima assemblea del Pd, ecco uscire dall'aula i Cinquestelle: «Votatevele da soli le riforme». E quindi la Lega: «Lo spot a Renzi fatevelo da soli, Renzi si diverta da solo con il suo show, non siamo i suoi servi»; e poi Sel, «avete messo sotto scacco il potere legislativo, avete un'arroganza senza precedenti». Forza Italia cercava fino all'ultimo una soluzione meno finale , persino che l'assemblea Pd aprisse spiragli di luce. Invece, buio pesto. «È triste andar via da quest'aula, ancor più triste restarci», annunciava Rampelli, Fratelli d'Italia. Infine Renato Brunetta, a nome degli azzurri, un fiume straripante nella conferenza stampa comune che sanciva il fatto nuovo. «Questa notte il premier è arrivato in aula a fare il bullo, forse potrà convincere i suoi ma non noi. Ci sono delle violenze metodologiche inaccettabili, e il combinato disposto di queste riforme sono un pericolo gravissimo e una deriva autoritaria, un colpo mortale alla democrazia. Altro che Aventino, vedranno sorci verdi!». Poco dopo, in una scarica di tweet al vetriolo: «#matteostaisereno con il referendum il primo a essere pesato sarai tu», «Matteo principe dei ricatti», «Renzi pensi a non violentare il Parlamento». Neppure la minaccia (larvata e non) delle urne anticipate frenava Brunetta, pronto a ribaltare la minaccia («L'unica via d'uscita è il voto col Consultellum ») e appellarsi a Mattarella per denunciare i soprusi. «Renzi ha fatto prevalere la sindrome dello scorpione? Ne pagherà le conseguenze», il grido di battaglia del capogruppo azzurro, a suo agio nelle vesti di coordinatore delle Opposizioni Unite. Senza grillini, compagni assai urlanti e assai poco graditi.
di Roberto Scafuri
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