Se ne sta lì, arrampicata su un blindato, nel centro di Amburgo, con la maglietta inzuppata dagli idranti, fiera ed arrabbiata: l'immagine simbolo degli scontri per il G20 racconta l'irruzione nelle violenze di piazza di un numero crescente di giovani donne, pronte ad affrontare senza patemi ebbrezza e paure dello scontro frontale. È una novità di questi anni. Se nei «servizi d'ordine» del Sessantotto era quasi impossibile vedere una esponente del gentil sesso, oggi nelle masse apolidi che girano l'Europa in nome dell'antagonismo è sempre più facile imbattersi in ragazze pronte a fare la loro parte. Quote rosa nei blocchi neri.
Al G8 di Genova c'era una donna, la francese Valerie Vie, militate di Attac, in prima fila quando venne abbattuta la prima recinzione messa a protezione della zona rossa; nel Primo Maggio di fuoco milanese del 2015 c'erano sicuramente donne, e tante, nel gruppo dei black bloc che si calarono il cappuccio e andarono all'attacco della Celere, anche se nessuna è mai stata identificata e denunciata; nei quattordici anni passati tra quelle due giornate campali, una lunga storia di emancipazione politica e «militare», una maturazione che nel mondo chiuso dei centri sociali ha portato spesso le fanciulle ad assumere ruoli di leadership. E spesso sono più dure e irriducibili dei maschi.
É una venticinquenne una degli esponenti più tosti del movimento no Tav, Eddie Marcucci, sotto processo a Torino; c'è una donna, Marina Cugnaschi, tra i pochi condannati per il G8 finiti in carcere a scontare la pena.
Sono quasi tutte giovani, a volte giovanissime - per gli scontri di Modena del febbraio scorso è finita sotto inchiesta anche una sedicenne - e quando c'è da menare la mani non si fanno condizionare dalla prestanza fisica.
Che poi non sempre è scarsa: del gruppo che andò a devastare una sede del Pd milanese l'unica a venire identificata fu una fanciulla da un metro e ottanta, che sollevava le scrivanie e le lanciava per aria. Riconoscibilissima, purtroppo per lei.
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