Da un lato ci sono i sostenitori della rete libera e gratuita che promettono battaglia e Wikipedia che, per protesta, oscura il sito italiano. Dall'altro ci sono i gruppi editoriali, che restano tiepidi e non prendono posizione. In mezzo, i colossi del web, a partire da Google, che stanno facendo lobbying insistente sugli europarlamentari per convincerli a non far passare la direttiva.
Una parola è al centro della discussione: copyright. Verte proprio sulla tutela del diritto d'autore su internet il pacchetto di norme che domani il Parlamento Ue si troverà a votare in seduta plenaria. Se sarà approvato entrerà in vigore entro l'inizio del 2019, mandando in pensione il web come l'abbiamo conosciuto finora. Se in meglio o in peggio, è tutto da vedere.
Gli articoli più rivoluzionari, e per questo più criticati, sono due. Il primo, il numero 11, stabilisce che gli editori debbano ricevere «una remunerazione equa e proporzionata» da parte degli aggregatori di notizie e dei social network che rilanciano gli articoli di giornale sulle proprie piattaforme. Questo significa che Google News o Facebook, per citare i provider più popolari, dovranno pagare le testate giornalistiche per poter pubblicare gli snippet degli articoli, cioè l'estratto di due righe con titolo e foto che segue il link del pezzo. Il diritto decadrebbe dopo cinque anni dalla pubblicazione. Nulla cambierebbe per gli utenti, che potrebbero continuare a condividere gli articoli sui propri profili.
Bruxelles, in una nota, ha spiegato che si tratta di un modo «per non privare i giornalisti del giusto compenso per il loro lavoro». Gli scettici sostengono però che si rischia di limitare il pluralismo dell'informazione, favorendo i grandi gruppi editoriali a scapito dei più piccoli e dei blogger. Inoltre, la stragrande maggioranza dei clic ai siti di news arriva dai motori di ricerca e dai social network: non comparirvi più significherebbe perdere circa l'80 per cento del traffico e, quindi, dei ricavi. A questo proposito ieri è intervenuto anche il garante europeo per la Privacy, Giovanni Buttarelli, che all'agenzia di stampa Agi ha detto che in tal caso si porrebbe «un problema di completezza dell'informazione e delle fonti di informazione». Di parere contrario è il presidente dell'Associazione europea editori giornali, Carlo Perrone. Intervistato da La Stampa, ha spiegato che l'approvazione della direttiva è necessaria «per la libertà di stampa» e per dare ai contenuti editoriali la stessa tutela che già esiste per l'industria cinematografica e musicale.
L'altro punto su cui si è scatenata la polemica è l'articolo 13, secondo cui le piattaforme di condivisione dei contenuti (e qui ci si rivolge soprattutto a YouTube) diventerebbero direttamente responsabili delle eventuali infrazioni di copyright causate dai contenuti pubblicati dagli utenti. In questo caso i provider dovrebbero attrezzarsi con filtri in grado di bloccare sul nascere i contenuti illeciti. È proprio contro questa proposta che ieri Wikipedia è stata oscurata in Italia - ogni comunità linguistica decide per sé - nonostante, come hanno spiegato da Bruxelles, l'enciclopedia online non venga toccata dalla direttiva perché si tratta di un'organizzazione senza scopo di lucro.
A protestare, però, sono stati anche i 70 ricercatori - tra cui l'inventore del web Tim Berners-Lee e l'informatico Vint Cerf, considerato tra i padri di internet - che hanno scritto una lettera al presidente del Parlamento Ue Antonio Tajani, parlando di «minaccia imminente al futuro della rete globale». Non resta che attendere il voto di domani, che si prospetta tutt'altro che scontato date le divisioni all'interno dei partiti e gli esiti incerti del lobbying di Google.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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