Cultura e Spettacoli

La Pop Art che parla in italiano

Si completa con questa terza rassegna l’interessante ciclo intorno a un fenomeno artistico degli anni Sessanta

Arte della dolce vita romana e degli studi milanesi; arte che ritrae il boom economico e il mondo che cambia; arte che si confronta con il passato e “consuma” le immagini; arte, infine, che sa ridere di sé e del mondo. In una parola: Pop Art. Si completa alla Galleria Civica di Modena l’interessante ciclo dedicato a questa forma d’espressione che ha visto nella città emiliana dapprima una collettiva sulla Pop Art inglese, poi una monografica dedicata ad Allan D’Arcangelo, rappresentante della Pop Art americana, e ora l’allestimento di una collettiva made in Italy. È ricca di nomi (trenta) e di opere (un centinaio) questa «Pop Art Italia. 1958-1968», curata da Walter Guadagnini con Luca Massimo Barbero.
Non è difficile spiegare perché la mostra piaccia al grande pubblico: la Pop Art è divertente. Soprattutto ci restituisce un mondo domestico, fatto di oggetti, riproduzioni e icone, che sa di passato prossimo. La collettiva modenese è una felice occasione per poter confrontare le diverse anime della Pop: dai precursori come Enrico Baj e Mimmo Rotella, agli animatori delle notti romane come Tano Festa, Mario Schifano e Franco Angeli, al gruppo milanese con Valerio Adami ed Emilio Tadini in testa, passando per la cosiddetta Scuola di Pistoia - che una scuola non era, ma un gruppo di artisti che fecero insieme un tratto di strada - raccolta attorno a Gianni Ruffi.
Non si è scelto in mostra di suddividere gli autori per aree geografiche, piuttosto per temi e stili. Quella della Pop Art, nel decennio considerato, fu una produzione assidua che prese le mosse dai découpage di Mimmo Rotella e dai lavori di Enrico Baj, forse i pezzi più interessanti esposti. Se Rotella prende i manifesti dell’epoca e li straccia ridipingendoli a suo modo (vedi Il punto e il mezzo), le creazioni di Baj sono un sorriso disincantato sulla società dell’epoca. Volutamente kitsch, l’artista accosta in una tela assemblaggi di stoffe diverse, il disegno di una pin up da copertina e mostriciattoli di sua invenzione, quelli che chiama “ultracorpi”. Ultracorpi sono gli esseri verdognoli con l’aria stralunata e gli occhioni rossi ritratti sulla tela così come un ultracorpo è il personaggio che l’artista crea con il gioco del meccano, dando vita a una “pop-scultura”. Pop è il gioco, pop è il richiamo al mondo extraterrestre, pop è un’arte che coinvolge lo spettatore. Quando però Baj accosta i suoi ultracorpi a paesaggi da cartolina o ai singoli ritratti, l’ironia lascia il posto alla disincantata riflessione sui miti degli anni Sessanta.
La vera svolta per la Pop Art italiana ha una data ben precisa: la Biennale del ’64. Fu l’anno «dell’ondata pop», dell’omaggio alla creatività americana e del premio a un artista come Rauschenberg. In quell’occasione esposero anche Rotella, Baj, Schifano, Festa, Del Pezzo, «per nulla debitori - afferma il curatore Guadagnini - di linguaggi altrui». Quasi che la Pop Art, priva com’è di un manifesto programmatico, fosse diventata un fenomeno planetario spontaneo in America, Inghilterra e anche in Italia, senza che gli artisti stessi ne avessero consapevolezza. Anzi, a molti di loro il successo della Biennale non piacque affatto e li spinse a sperimentare altrove.

Non è un caso, allora, che la mostra chiuda il suo percorso con l’anno 1968: da quel momento la Pop Art perse la sua originaria innocenza.

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