Il pop et(n)ico di Simon tocca vette di eleganza

«Come puoi essere un cristiano? E un ebreo? E un musulmano, un buddista, un induista?», chiede Paul Simon. Domanda retorica: Surprise, com’è nell’indole del maestro americano, è un ponte gettato sopra le latitudini, un’appassionata omelia a favore della mutua comprensione e dell’onnivora curiosità culturale. Sicché si viaggia tra un pop ricco di nuances e citazioni etniche le più varie. Dalle prospettive aliene di Another galaxy al clima plumbeo di I don’t believe, dall’irruenza «nera» di Outrageous al tracciato intergenerazionale di Father and daughter, dal soul di Sure don’t feel like love alla perorazione antibellicista di Wartime prayers, calata in un clima di religiosa intensità. Ancora una volta la scrittura di Simon - qui affiancato da Brian Eno, Herbie Hancock, Steve Gadd, Pino Palladino - assomma decantata emozionalità e spunti sociali, così che al musicista di vaglia s’affianca l’indagatore penetrante del nostro tempo e dei suoi assilli.

Letti però da una prospettiva sghemba, mai esplicitamente predicatoria né scopertamente sociologica. E con un rigore, una sobrietà, un’assenza di enfasi che rasentano lo straniamento: morbidezza di suoni, colloquialità, eleganza ineludibile.

Paul Simon Surprise (Warner)

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