Popolizio magistrale Cyrano

Popolizio magistrale Cyrano

Il sipario si apre su una scena corale di effetto che ha il taglio di un’opera lirica. Sembra di assistere al primo atto delle verdiane Traviata o Un ballo in maschera vedendo tutti gli attori in posa come delle figurine prima che inizi il parlato. Il protagonista non c'è ancora, ma prima di lui entra tuonante la sua voce fuori campo che all'attore tronfio che declama versi in mezzo al pubblico intima di smetterla con insistenza e nervosismo. Questo è l'ingresso di Massimo Popolizio nel suo Cyrano, un ingresso istrionico e prepotente che subito lo contraddistingue dal resto della compagnia. Ha il cappotto lungo quasi fino ai piedi, uno strano cappello a cilindro e l'immancabile persecutore… quel naso importante, ostinato, portatore di sofferenza, motivo di timore e insicurezza, anzi di certezza di rifiuto per quanto riguarda l'amore. Ma il naso scelto da Popolizio non è eccessivamente e tradizionalmente lungo e ben si sposa con l'idea moderna di non essere più capaci ad accettare anche un piccolo difetto. Libero da vincoli temporali settecenteschi, questo Cyrano è uomo di pensiero più che di cappa e spada, un antieroe romantico che si fa avanti nella vita a ritmo di versi in rima decantati con tanta poesia quanta ironia. Possessore di quella «leggerezza» indicata con tanta precisione da Italo Calvino capace di togliere l'uomo dalla condanna alla forza di gravità, il Cyrano di Popolizio viaggia verso la luna attraverso l'agilità del verso. Un verso acrobata di un poeta utopista e rivoluzionario, uomo solo in lotta contro volgarità e ipocrisia. L'attore genovese che il suo mestiere lo conosce a fondo e lo sa fare molto bene dà una lezione di gran taglio riguardo l'arte della recitazione, in un'esibizione che passa in maniera repentina dallo sberleffo al malinconico fino ad arrivare all'intensità tragica quando meno te lo aspetti. Accanto a lui c'è Luca Bastianello, un tiepido ma dignitoso rivale, il «bello senz'anima» Cristiano, meno adeguata Viola Porcaro che non sa dare la giusta profondità che l'autore conferì al personaggio di Rossana.

La scenografia voluta dal regista Daniele Abbado è semplice, essenziale, monocromatica nella sua tinta grigio pastello, ma estremamente raffinata, capace di avvolgere con le sue tonalità un po' spente il sempre presente protagonista indiscusso dello spettacolo.

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