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Il premier si ritira sui Dico Bindi: sono diventati Direi

Prodi si piega ai cattolici e aggira l’ostacolo: «Lascio libertà di coscienza». Mastella esulta: non passeranno

da Roma

Romano Prodi scarica al Parlamento la bomba innescata dei Dico. Il Professore non ha avuto bisogno di chiedere l’acqua per lavarsene le mani e tirarsi fuori dalla contesa. Gli è bastato dire che «il governo ha presentato un disegno di legge, e con questo ha esaurito il suo compito». Dunque ora la grana va risolta dal Parlamento che deve «costruire un testo su cui avere una larga convergenza». Su un «tema così delicato» Prodi specifica pure che viene lasciata piena «libertà di coscienza». Il Professore tratta l’argomento con le pinze per non urtare le diverse sensibilità di cui si compone la sua risicata maggioranza. Ma la questione è talmente urticante che il solo il fatto di aver citato nella sua replica il ddl sulle unioni di fatto gli costa di nuovo l’appoggio del senatore a vita Giulio Andreotti. Il divo Giulio, quando sente Prodi pronunciare le parole «unioni di fatto», non trattiene un gesto di stizza. A Prodi va riconosciuta la strenua volontà di aggirare l’ostacolo e non affrontare l’argomento. Troppo insistenti però le richieste dell’opposizione e soprattutto la pressione interna. La sinistra che sul riconoscimento delle convivenze si sta giocando la faccia non avrebbe tollerato un altro silenzio, che nel primo intervento era già stato letto dai sostenitori dei Dico non soltanto come un assenso alle richieste dell’ala cattolica della Margherita e dell’Udeur ma, cosa ancor più grave per l’ala laica, una sottomissione alla volontà del Vaticano.
La capogruppo dell’Ulivo, Anna Finocchiaro, nelle ultime settimane si è sgolata per convincere tutti, prima di tutto se stessa e la sua maggioranza, che i Dico non sono morti perché il presidente della Commissione Giustizia, Cesare Salvi, è pronto ad aprire la discussione sul ddl alla prima seduta utile. «Una questione di diritti civili che non può essere accantonata», ha detto e ridetto la Finocchiaro invocando un «dibattito serio e approfondito».
Guarda caso le stesse parole che nella sua replica al Senato usa Prodi, messo con le spalle al muro, si vede costretto ad affrontare i Dico. Ma visto che al Senato non ci sono i numeri per approvarli, come sa benissimo anche lui, nello stesso momento in cui li difende li abbandona pure alla deriva di un voto sciolto da qualsiasi vincolo, legato solo alla libertà di coscienza. Ovvero a un sicuro declino. Non stupisce dunque che il Guardasigilli, Clemente Mastella, non si preoccupi della citazione di Prodi: «I Dico non hanno maggioranza al Senato - osserva Mastella-. Siamo contrari non solo noi dell’Udeur ma anche Andreotti e Colombo». E pure il senatore Pallaro, subito dopo aver dato il suo voto fiducia a Prodi, precisa che non voterà il ddl sulle coppie di fatto. A questi no poi si aggiungono quelli dei teodem: Paola Binetti, Emanuela Baio Dossi e Luigi Bobba.
E che non ci siano i numeri per varare i Dico a Palazzo Madama lo sa bene pure la ministra della Famiglia, Rosy Bindi, che li liquida con una battuta: «I Dico? Sono diventati direi».
Questo non significa però che il passaggio sui Dico sarà indolore per la maggioranza.

L’altra firmataria del ddl, Barbara Pollastrini, promette che lavorerà «per trovare un ampio consenso sul testo», ignorando allegramente quanto appena detto da Prodi, ovvero che il governo non doveva più occuparsene. A fianco dei Ds a favore dei Dico ci saranno Rifondazione, i Comunisti e i Verdi.

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