William Howard Taft è stato l'unico presidente degli Stati Uniti a essere anche giudice Capo della Corte Suprema. Anzi, a dirla tutta, se avesse dovuto scegliere, avrebbe preso il secondo incarico e rinunciato volentieri al primo. Di tutte le frasi di questo corpulento signore, la più celebre infatti è: «Non mi ricordo nemmeno di essere stato presidente». La disse proprio a ridosso della nomina alla Corte Suprema. Amava la legge più del potere, Taft. E quella nomina sullo scranno più alto della giustizia americana fu per lui il riconoscimento di una vita dedicata alla giurisprudenza. Suo padre era un giudice: Taft doveva e voleva diventare un giurista. Studiò a Yale impegnandosi disperatamente per laurearsi in fretta e con il massimo dei voti. Ci riuscì e giudice lo diventò davvero: a 34 anni entrò nel circuito federale, dal quale però uscì in fretta perché la politica lo travolse. Non contro la sua volontà, ma di sicuro ben oltre la sua volontà, Taft cominciò presto a ottenere incarichi amministrativi uno dietro l'altro. Anche in questo caso c'era lo manina della famiglia. Sia quella d'origine (perché suo padre, oltre a essere stato giudice, era stato ministro della Giustizia durante l'amministrazione Grant), sia quella acquisita: molte biografie raccontano che a spingere Taft a dire sì alle nomine pubbliche e politiche fosse sua moglie, Helen Terron Taft. Considerata da qualche storico una antesignana di Hillary Clinton, non ebbe mai alcuna carica solo perché l'epoca in cui visse non prevedeva che le donne potessero scendere in politica. Lady Helen pensava che per suo marito fosse molto più produttivo provare la corsa verso la Casa Bianca che quella verso la Corte Suprema. Il primo incarico pubblico ottenuto da Taft fu sotto la presidenza McKinley: venne mandato nelle Filippine, come governatore. Gli furono affidate le isole, all'epoca territorio americano dopo una serie di conquiste territoriali ottenute alla fine dell'Ottocento, dopo la celebre guerra contro la Spagna.
Quella guerra nacque per Cuba, e proprio a Cuba Taft fu spedito dopo i buoni risultati ottenuti nelle Filippine: con lui ad amministrarle, infatti, le isole asiatiche ebbero un periodo di serenità e di crescita. L'economia registrò un picco di crescita dovuto anche agli interventi pubblici voluti dallo stesso Taft. La cosa più importante fu la costruzione della prima rete viaria e viabilistica del posto, il che generò posti di lavoro, guadagni, alimentò i consumi, aiutò lo sviluppo di molte altre attività che venivano agevolate dalla possibilità dello spostamento più rapido di merci e uomini. L'amministrazione pubblica, inoltre, costruì di fatto le prime vere scuole del Paese, aiutando la popolazione locale a istruirsi e a maturare una coscienza civica.
Nel frattempo alla Casa Bianca era arrivato Theodore Roosevelt: fu col presidente Teddy che Taft stabilì un rapporto personale e politico strettissimo. Prima fu nominato governatore provvisorio a Cuba, poi richiamato a Washington per diventare ministro della Guerra. Nei suoi anni nell'amministrazione, di fatto, Taft fu indicato come delfino del presidente. Ebbe così la nomination repubblicana alle presidenziali del 1908, su esplicita richiesta di Roosevelt ai delegati.
Poi vinse anche le elezioni contro il democratico William J. Bryan. La sua presidenza fu caratterizzata da una politica estera giocata quasi tutta sul continente americano: cercò infatti alleanze con alcuni governi dell'America Latina, e per ciò venne accusato dai rivali (e anche da molti del suo partito) di essere troppo vicino ad alcuni governanti poco liberali.
La storia lo ricorderà per questo e per una rivoluzione silenziosa: fu lui a dare il via al processo che portò all'introduzione di una tassa federale sui redditi. Fu un presidente poco amato dai giornali.
La stampa lo prendeva in giro per la narcolessia di cui soffriva, determinata dal peso: ben 175 chili, secondo la biografia ufficiale. Il risultato era devastante: ovunque andasse, il presidente si addormentava. Il bello, però, è che, nonostante la stazza, Taft era uno sportivo: adorava il golf e fu il primo presidente a farsi fotografare su un green. Di fatto fu lui a importare questo sport negli Stati Uniti.
Politicamente, Taft fu accusato di essere un traditore del mandato che Roosevelt gli aveva dato. Questo (e altro) scatenò una guerra pazzesca all'interno del Partito repubblicano, dalla quale derivò uno scisma che spaccò il Grand Old Party, portando alla nascita del partito progressista. E chi divenne il leader del neonato partito? Teddy Roosevelt, una volta sponsor di Taft e poi diventato suo rivale.
Alle elezioni del 1912, il presidente uscente fu travolto: sconfitto sia dal democratico Wilson (eletto presidente), sia dallo stesso Roosevelt.
A chi gli chiedesse come fosse stata la sconfitta, Taft rispondeva: «Non male».
Sognava la Corte Suprema. Washington, sì, ma dall'altra parte. Ci riuscì nel 1921, quando l'allora presidente Warren Harding lo nominò Giudice Capo.
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