Alessandro Massobrio
Dategli una mail, un fax, un microfono e lo farete felice. Così hanno descritto don Paolo Farinella coloro che lo conoscono più da vicino. Un siciliano incontenibile, la cui più grande aspirazione consisterebbe nella mediatica aspirazione a comparire, a farsi notare, ad impedire che il silenzio, nemico terribile quanto strisciante, possa in qualche modo calare sul suo nome.
Accade così che quando, nel corso di qualche riunione, il microfono finisce tra le mani di questo sessantenne di Caltanisetta non ce ne sia - per dir così - più per nessuno. Prete Paolo, come ama farsi chiamare in maniera neppure troppo velatamente neotestamentaria, aggredisce la platea con le sue lunghissime elucubrazioni su Chiesa, Vangelo, poveri, ricchi e chi più ne ha più ne metta. Qualche suo confratello coglie il momento buono per «levare le tende», altri, dotati di spirito di carità, si accingono a sopportare.
Non parliamo poi delle occasioni tanto attese, quelle che capitano una volta ogni morte di papa o, per meglio dire, di arcivescovo. In questi casi, quando cioè un nuovo presule si prepara a salire sulla cattedra genovese che era stata dei santi Nazario e Celso, Prete Paolo inizia la stesura dei suoi piani pastorali. Quello che il nuovo arcivescovo farà o non farà, dirà o non dirà, le priorità nella sua azione di governo diocesano, gli obiettivi da raggiungere o da aggirare, tutto questo viene stilato e codificato in fogli e fogli di minutissime indicazioni. Don Farinella non dimentica nulla. Il plico parte poi per la Curia, dove probabilmente giacerà a lungo, sotto le nevicate di polvere che il tempo non esita a spargere sulle fatiche degli uomini.
Ma tant'è, don Paolo non conosce requie. È nella sua natura di siciliano emotivo, irruente, sanguigno, pronto più a smontare che a costruire, sempre in movimento, sempre desideroso di fare e, soprattutto, di far sentire la sua voce.
La sua è stata una vocazione adulta. Giunto in Genova dopo una esperienza negativa a Verona, dove aveva provato a dedicarsi, senza successo, all'attività missionaria, don Farinella è stato poi accolto dal cardinale Siri. Gli studi compiuti a Gerusalemme gli hanno fornito una preparazione biblica, che ha qualche vaga analogia con quella, comunque ben più profonda, di Giuseppe Dossetti, il padre nobile del prodismo e del centro - sinistra. Quanto alla sua attività in diocesi, c'è poco da dire.
Parroco a Lavagna, Prete Paolo ha dato poi vita a Calvari ad un centro per il recupero di persone emarginate. Ma visto che l'iniziativa non ha sortito gli effetti sperati, ora la Curia gli ha trovato una sistemazione nel centro storico, nella chiesa di S. Torpete, una cappella gentilizia, all'interno della quale l'ufficio del cappellano si limita quasi esclusivamente alla celebrazione della messa.
Forse una scelta arcivescovile per isolare una voce già di per sé isolatissima tra il clero, ma che comunque ha assicurato a don Farinella una considerevole quantità di tempo libero da spendere - come si diceva più sopra - in fax ed e-mail. Ed i risultati, infatti, non si sono fatti attendere.
Qualche lettore ricorderà forse, tra il maggio e il giugno del 1987, la lettera, pubblicata naturalmente con grande risalto da Il Secolo XIX, in cui si invitava con squisita sensibilità d'animo il cardinale Siri a far le valige da arcivescovo di Genova. Il cardinale, malato, già aveva fatto conoscere la sua volontà di abbandonare la propria diocesi e dunque l'invito perentorio di Prete Paolo è parso a molti un'azione non coraggiosissima, anzi, forse un poco maramaldesca. Soprattutto se si tiene presente che fu proprio Siri - come già si è detto - ad accogliere questo moderno Savonarola tra le mura della nostra città.
Ma non basta. Nel marzo del 2005, nuova levata d'ingegno, questa volta contro l'anziano Giovanni Paolo II, anche lui formalmente invitato a togliere l'incomodo. Un incomodo sempre minore comunque rispetto a quello che sembra arrecare a Prete Paolo il presidente del consiglio Berlusconi, diffidato formalmente dal presentarsi in udienza privata al cospetto di Papa Ratzinger.
Insomma, un fuoco d'artificio di trovate, di uscite estemporanee, di effetti speciali, dietro i quali - per usare un'espressione cara a Franco Manzitti - c'è il nulla. O meglio, c'è la cerchia di sempre dei cattocomunismi, dei postsessantottini, di quegli ex fucini, ormai sfioriti sessantenni, per i quali le polemiche dell'Isolotto e di Oregina sono ancora argomenti di estrema attualità. Polemiche contro il «trionfalismo» di una Chiesa che in questi decenni è profondamente cambiata. Ma del cui cambiamento neppure sembrano essersi accorti. Polemiche contro le alte gerarchie ecclesiastiche, affidate ad un sacerdote che svolge il suo ministero in una cappella gentilizia.
Chi è senza peccato - verrebbe da dire - scagli la prima pietra.
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