Cronache

«Preziosi ha sempre negato l’illecito»

Intercettazioni: tutte le sentenze davano ragione alla nostra opposizione

«Preziosi ha sempre negato l’illecito»

(...) a richiedere gli atti di un'indagine non conclusa. Una sollecitudine che non si è mai vista e alla quale «cordialmente» la Procura di Genova si è adeguata (così non ha fatto, ad esempio, la Procura di Torino). Di fronte a questo l'avvocato difensore, anzi gli avvocati della difesa, Coppi e Biondi, che cosa avrebbero dovuto fare secondo te, caro Direttore? Ammettere un addebito che il nostro assistito non aveva mai ed in nessuna sede, neanche con noi, voluto ammettere?
È difficile, credimi, giudicare il comportamento altrui senza conoscere tutte le carte processuali, senza valutarne le contraddizioni, senza comprendere il contesto in cui gli avvenimenti si collocano e le parole si dicono. Subito, noi difensori, tanto di fronte alla Procura che all'Ufficio Indagini e poi nel primo e nel secondo grado di giudizio (si fa per dire) sportivo, abbiamo sollevato un'eccezione di non utilizzabilità di intercettazioni telefoniche ed ambientali in un giudizio «diverso» da quello in cui tali intercettazioni erano state (legittimamente o no) disposte. Caro Massimiliano, se tu avessi letto quanto Coppi ed io abbiamo scritto nelle memorie depositate nella fase delle indagini e poi nelle successive fasi del procedimento, vi avresti trovato il conforto di sentenze della Corte Costituzionale, della Corte di Cassazione, della Corte dei Conti, della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo che confortavano la nostra tesi, e cioè che l'articolo 270 del Codice di Procedura Penale vieta l'utilizzo di questi mezzi di ricerca della prova (le intercettazioni appunto) al di fuori del processo in cui esse sono state disposte. È questo del resto uno degli argomenti principali che i Professori D'Angelo e Carbone hanno, con forza, portato all'attenzione del giudice Vigotti. Caro Lussana, ti scrivo questa lettera prima di conoscere quale sarà il giudizio del giudice del Tribunale di Genova e lo faccio perchè non cambierei queste opinioni mie, di Coppi, di D'Angelo e di Carbone, anche con sentenza negativa perché le sentenze sono sempre impugnabili ma le convinzioni, quando sono meditate, non subiscono gradi di giudizio che le inficino.
Non mi dilungo sul modo col quale si è svolto il processo sportivo e applicate le «regole», care al Presidente Carraro, che abbiamo dovuto constatare noi difensori. I giornali hanno riportato quello che ha scritto il Presidente del Collegio di primo grado rivolgendosi ad un collega sulle forti pressioni che hanno gravato sulla vicenda e quello che impietosamente i bigliettini, come vengono definiti, hanno attribuito ai componenti del Collegio di Appello che hanno partecipato alla Camera di Consiglio concorrendo alla motivazione tardivamente notificata ai difensori quando il Processo a Genova era cominciato da un'ora e mezzo. Forse queste cose non fanno notizia ma per chi crede nella giustizia, persino in quella sportiva, provocano un senso di fastidiosa nausea.
Come tu sai bene gli avvocati, tra gli altri difetti, hanno anche quello di una certa «gelosia» professionale, specie quelli come me che vengono dalla gavetta ma si sono fatti strada e nome procedendo per un lungo percorso. Ebbene vincendo questa deformazione professionale ho voluto accanto a me il Prof. Coppi, che ha accettato di affiancarmi per grande stima ed amicizia nei confronti miei e di mio figlio Carlo (che non ringrazierò mai abbastanza per l'aiuto che ci ha dato), proprio perché volevo che le mie opinioni non fossero in un certo senso influenzate dall'amore che porto da troppi anni per il Genoa. Coppi non solo ha sposato la causa del Genoa con convinzione ma con una passione che il suo carattere schivo spesso nasconde. Quindi dico questo non per una «chiamata di correo» di fronte alle tue accuse di errore ma perché ritengo che la linearità di una condotta difensiva si arricchisca della esperienza, della professionalità, della dottrina di chi ci crede fortemente.
Un'altra cosa mi pare importante segnalare e che ti è evidentemente sfuggita, tanto in primo grado che in appello non abbiamo, Coppi ed io, sostenuto soltanto le motivazioni costituzionali (art. 15, art. 24, art. 111 della Costituzione), ne solo la violazione dell'art. 270 del Codice di Procedura Penale, abbiamo svolto anche ipotesi che noi avvocati definiamo «subordinate»; quindi ipotesi di minori responsabilità, ove riscontrata, ed ancora la riduzione della sanzione a entità meno mostruosa di quella richiesta dall'accusa e poi addirittura aumentata anziché diminuita dai giudici di primo e di secondo grado.
Insomma, caro Lussana, ci siamo «umiliati» ad illustrare soluzioni diverse e subordinate che avrebbero potuto e dovuto mitigare la sanzione e cioè quella retrocessione in C1 con tre punti di penalizzazione che, per chi conosce la causa, grida vendetta. Anzi, mi correggo, giustizia che non è mai vendetta.
È quello che ci aspettavamo dal giudice ordinario e che non abbiamo avuto dal giudice sportivo che ha scelto soluzioni unilaterali, pregiudiziali e che ha liquidato le argomentazioni giuridiche sulla prevalenza dell'ordinamento statuale su quello sportivo, definendole «stronzate»!
Voglio anche in conclusione ringraziarti per quello che hai scritto su di me, sulla mia storia, sulle convinzioni giuridiche e politiche che non subiscono lo stormire delle fronde e per avere ricordato che quando ero Ministro della Giustizia non ho avuto paura di avere coraggio nel fare da ministro, quello che avevo sempre pensato e detto da cittadino e da avvocato. Nemmeno allora mi sgomentai per gli insulti della piazza capitanata persino da un Sindaco dell'epoca, così come oggi, non mi esalto per gli applausi e il calore che mi circondano. Il consenso ed il dissenso, per un liberale come me, sono accettati e rispettati come un diritto dei cittadini.
Grazie per la tua amicizia, un abbraccio. Tuo,

Caro Alfredo, capisco il tuo ragionamento. Ma i fatti, purtroppo, parlano di un Genoa in C1. Nel migliore dei casi, a meno 6. E credo che anche le ultime esternazioni di D’Angelo e Carbone siano solo «accanimento terapeutico» applicato alla giustizia.

Con stima e amicizia immutata. Tuo,
Massimiliano Lussana

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