Laura Cesaretti
da Roma
Quando parla di ciò che costituisce il primo punto in agenda per tutti i leader dellOccidente (il terrorismo islamico, la guerra, le scelte e i posizionamenti in politica estera) il leader dellUnione sa di trovarsi su un terreno minato. Sul quale si muove a tentoni, a capo di una coalizione che se si rattoppa a dritta, si slabbra subito a manca e che una sola parola sbagliata può mandare in tilt.
E questo spiega forse alcuni rischiosi scivoloni, come quello di lunedì sul «non siamo stati noi ad appiccare lincendio e a mettere il nostro Paese in una situazione così complicata» che ha meritato a Romano Prodi una valanga di sarcasmi e di accuse di ponziopilatismo dal centrodestra, ma anche alcune bacchettate da autorevoli giornali (il Corriere della Sera), prese di distanza dalla sua stessa coalizione (Francesco Rutelli ma persino Fausto Bertinotti) e sottili ironie da quotidiani vicini al centrosinistra come il Riformista.
Il Professore deve aver registrato i messaggi diretti e indiretti che gli sono arrivati, e ha deciso di aggiustare il tiro. Passando dal gelo attendista del giorno prima (lincendio non è roba nostra, appunto, e sulle misure antiterrorismo se la veda il governo) ad una calorosa apertura di credito ieri: «Siamo tutti Pisanu», praticamente. Quello del ministro «è stato un discorso saggio», secondo il leader del centrosinistra. «Condivide la nostra stessa preoccupazione, che è la preoccupazione di tutti gli italiani, quella di affrontare il terrorismo nel modo più efficace», afferma Prodi. E se qualcuno aveva sospettato che il candidato premier dellUnione sottovalutasse la guerra allOccidente dichiarata dal fondamentalismo, Prodi rassicura: «Riconosciamo il terrorismo come il grande pericolo della nostra società», e lo si affronta «senza leggi speciali, senza forzature demagogiche, che poi non danno i risultati sperati», ma «con misure serie, mirate, nella direzione esposta da Pisanu. E noi nei prossimi giorni esamineremo con apertura e interesse ciò che proporrà».
Spiegano nellUnione che alla riconversione bipartisan di Prodi non siano ovviamente state estranee le preoccupazioni e le pressioni dei due principali partiti dellUnione, Ds e Margherita. Che già da giorni si occupavano di mandare segnali di disponibilità al governo, ben sapendo che sul cruciale tema della lotta al terrorismo lopinione pubblica, anche di centrosinistra, non apprezzerebbe «lidea che lUnione se ne lava le mani».
Ma decisivo sarebbe stato il peso della moral suasion del Quirinale: Ciampi ha fatto sapere di condividere con il governo lidea che siano necessarie «misure urgenti» per la sicurezza nazionale, e di auspicare che il Paese sia «unito» di fronte a questa sfida, e che si avvii subito un negoziato bipartisan, coordinato da Pisanu, per raggiungere lintesa. Rutelli ha annunciato già ieri mattina che «è probabile» che le misure sulla sicurezza vengano «approvate a larga maggioranza». E persino Bertinotti ha subito aperto: «Si possono usare anche politiche repressive, un po di legislazione di emergenza, purché nel rispetto dello Stato di diritto». E ha anche spiegato: «Non è la guerra a generare meccanicamente il terrorismo», che rimane «un soggetto politico autonomo nato per scelta strategica». Frase che è suonata come una correzione di tiro rispetto a quel «non siamo noi ad aver appiccato lincendio» detto da Prodi, che lasciava campo libero ad interpretazioni del tipo suggerito dal Riformista ieri: «Il piromane è Bush che ha buttato giù Saddam Hussein», o anche: «È Berlusconi che gli ha dato una mano». Bertinotti ha preso le distanze, tenendo a distinguere tra la situazione in Irak e le bombe nellUnderground di Londra: «Non esiste una causa che genera il terrorismo», afferma, anche se certo «ci sono concause che lo alimentano: povertà, ingiustizia, oppressione, guerra... in particolare quella immotivata, violenta e imperiale condotta appunto contro lIrak».
«Quello che lopinione pubblica vorrebbe sapere dal centrosinistra non è chi ha appiccato il fuoco, ma come si può spegnerlo», ammoniva il quotidiano di Antonio Polito.
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