Prodi e il sogno infranto di Parisi

Prodi e il sogno infranto di Parisi

Gianni Baget Bozzo

Ci si può domandare chi, nella coppia Prodi-Parisi, sia la mente e chi il braccio. E se il personaggio che ha in mente Parisi sia adatto ai panni di Romano Prodi.
Parisi è un fautore rigoroso del bipolarismo fondato sulla leadership e quindi sul rapporto diretto tra il leader e l'elettorato. Ha pensato a un impianto di radici americane nel suolo italiano. Solo che questo programma non è un programma di sinistra ma un programma di destra e lo ha puntualmente realizzato Berlusconi. Il presidente del Consiglio ha creato un partito e un'alleanza elettorale e politica sulla sua persona, cosa che in Italia non era mai accaduta. Parisi ha indovinato che la costante americanizzazione della vita italiana avrebbe portato anche all'importazione di un modello americano nella politica italiana. Ma Prodi non ha appello popolare e il suo destino politico è sorto dalla congiunzione dei due partiti principali della prima Repubblica, i comunisti e i democristiani. È stato scelto dalle nomenclature di partito come figura intermedia. Diversamente da Berlusconi, Prodi dipende unicamente dal consenso dei partiti e non può scontentarli, mentre la linea di Parisi tende a fare di Prodi un leader con poteri autonomi oltre i partiti, capace quindi di imporre a essa la sua linea.
Prodi è un democristiano e quindi una figura di mediazione, Parisi un politologo radicale; pensa a fare di Prodi un leader in forza propria capace di imporsi ai partiti. Questo contrasto è emerso nel conflitto che Parisi ha gestito con i Ds, forza politica strutturata e dominante la coalizione da cui soltanto Prodi poteva prendere i voti. Lo schema teorico si è scontrato con la realtà di fatto e si è visto Parisi agire in forma indipendente da Prodi, in funzione del suo schema del leader dominante la coalizione per forza propria.
Ciò ha raggiunto la visibilità nello scontro tra Parisi e Rutelli sulla questione dell'Ulivo. Parisi non è riuscito a imporre alla Margherita la presenza del suo simbolo nella parte proporzionale del sistema elettorale e ha reagito creando nella Margherita l'opposizione nella forma di un secondo partito, con propria disciplina. Ciò nonostante Prodi ha dovuto piegarsi alla volontà dei partiti e la Margherita ha ottenuto il suo simbolo.
È apparso chiaro allora che falliva la linea principale di Arturo Parisi, quella di includere tutti i partiti in un unico partito con un unico simbolo, il partito dell'Ulivo. Con ciò la sostanza del disegno di Arturo Parisi era già fallita, i partiti esistevano e si divaricavano. La Margherita diveniva sempre più chiaramente il centrodestra della sinistra, Rutelli era attento a puntualizzare differenze e a mostrare che il voto per la Margherita era diverso dal voto per i Ds e per gli altri partiti della coalizione. Ogni partito seguiva la sua linea politica e convergeva in Prodi, ma Prodi doveva accettare il punto di convergenza dei partiti, cioè subirne le decisioni. Non era più un leader, diveniva qualcosa tra un grande commesso e un giudice di pace. Per Parisi questo è inaccettabile e ora ha risposto a questa situazione con un attacco a tutto fondo contro i Ds, dichiarando che la loro azione politica pone una questione morale che giustifica l'intervento della magistratura. È giunto ad affermare che la elezione di Petruccioli presidente della Rai è uno scambio con la concessione delle partite di serie A a Mediaset, che l'operazione dell'Unipol è sospetta, che l'accordo tra Berlusconi e De Benedetti è scandaloso e che il centro di questa nuova questione morale è appunto il partito dei ds. Egli teme di nuovo un accordo silenzioso dei Ds con Berlusconi e la fine dell'antiberlusconismo su cui si è costruita l'unità della coalizione. E questo alla vigilia delle primarie, in cui sono i partiti, soprattutto i Ds, a determinare le sorti di Prodi. Ds e Margherita hanno reagito ambedue alle dichiarazioni di Parisi che Prodi ha dovuto smentire.

Si va verso il divorzio tra Prodi e Parisi? Tra l'autore del pensiero politico che ha creato Romano Prodi e Prodi stesso? Cade così interamente l'idea di Prodi come una figura politicamente autonoma e ne viene un candidato senza partito, debole appunto perché senza partito e obbligato a registrare le convergenze dei partiti. Le primarie sono diventate intrinsecamente ambigue, proveranno il contrario di quello che Parisi voleva far loro dimostrare: l'autonomia politica del candidato.
bagetbozzo@ragionpolitica.it

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