Arriverà dopo l’estate la mattanza per i militari. Il Dpef lo ha accennato, il ministro della Difesa Arturo Parisi a malincuore lo ha promesso alle commissioni difesa del Parlamento e, se non sarà troppo impegnato con le beghe del Pd, presenterà il ferale annuncio prima dell’autunno: il governo si appresta a mandare a casa tra i 25mila e i 30mila militari, tutti professionisti o volontari, che perderanno il “posto di lavoro” con le stellette.
Il governo ha deciso infatti che non ci sono abbastanza soldi per mantenere alle armi i 190mila uomini e donne previsti dall’attuale Modello di Difesa e ha dato quindi incarico ai tecnici dello Stato Maggiore della Difesa e delle Forze armate di elaborare e presentare uno studio su come attuare questa drastica riduzione. Una prima ipotesi era denominata «Libro Blu», poi si è arrivati all’attuale «Modello Sostenibile», che nella sua prima stesura è naufragato a causa dei dissidi tra le Forze Armate. Ma ormai non si può più attendere e un documento che rappresenti una soluzione al problema dovrà essere presentato in sede politica. Poi ci si attende una discussione in Parlamento e nel Paese.
Solo che nessuno vuole tagliare il nodo gordiano: ai tempi della leva, se si riduceva la consistenza delle Forze armate tutti gioivano perché diminuiva il numero dei giovani costretti a indossare un’uniforme. Oggi la situazione è ben diversa. Si tratta di cancellare posti di lavoro. La maggior parte dei quali si trova nel centro-sud. In confronto gli esuberi delle grandi aziende sono sciocchezze.
Si pone quindi un problema sociale e politico delicato. Perché, per risparmiare, i tagli vanno effettuati in fretta. Tuttavia questo vuol dire adottare scelte impopolari. Ecco quindi che c’è chi parla di pensionamenti anticipati, di collocamenti in ausiliaria di massa, con effetti devastanti per i conti pensionistici. Altri sperano in un trasferimento del personale in esubero ad altre amministrazioni dello Stato; ipotesi, questa, che suscita la resistenza della macchina burocratica, riluttante all’assunzione di ex militari. Qualcuno sogna un passaggio in massa alle Forze di polizia.
Un trucco, invero subdolo, porterebbe semplicemente a non rinnovare i contratti e gli arruolamenti dei volontari con ferme brevi, 3-5 anni, mantenendo invece fino a pensione la maggior parte dei militari in servizio permanente. In questo modo l’Italia si troverebbe Forze armate zeppe di vecchietti o soldati di mezza età, di fatto non impiegabili in operazioni reali. Perché un esercito che funziona è un esercito giovane, con elevato turnover. Per evitare squilibri, i tagli dovrebbero colpire in modo omogeneo tutte le categorie di personale, partendo dal vertice (che in Italia è particolarmente “pesante”). In realtà quella che invece già si è notata nel bilancio 2007 è stata una pesante sforbiciata degli arruolamenti di volontari nelle ferme più brevi. In pratica si rischia lo sfascio.
I tagli poi non riguarderanno solo il personale militare (e quello civile: sono quasi 36mila i dipendenti civili della Difesa), ma interesseranno l’intera macchina militare: mezzi, equipaggiamenti, reparti, basi, capacità militari. Già, le capacità: l’Italia sarà costretta a dichiarare nelle competenti sedi internazionali che non sarà più in grado di mantenere gli impegni che ha assunto. Bisognerà negoziare un livello più basso. E conseguentemente anche il ruolo del Paese nel proscenio internazionale andrà a ridursi, anche in modo considerevole. La cosa non dispiacerà più di tanto a concorrenti europei e internazionali, cui l’attivismo italiano dà fastidio. Parimenti, la politica estera dovrà essere riscritta, perché non avrà più i muscoli militari a sostenerla.
Naturalmente un’alternativa esiste. Basterebbe aumentare la spesa per la Difesa, portandola a valori del Pil intorno all’1,5% degni di una media potenza come l’Italia pretende di essere: nel 2007, invece, ci si è fermati a 0,95%.
Ma per la sinistra massimalista italiana l’addio alle armi dovrebbe essere ancora più spinto.
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