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Professionisti ben pagati dell'antiberlusconismo

Milionari e onnipresenti su tv e giornali: ecco chi sono i comici e gli scrittori firmatari dell’appello per la libertà di stampa lanciato da "Repubblica". Tra chi lamenta limiti all'espressione anche Celentano, Benigni e Umberto Eco

Professionisti ben pagati dell'antiberlusconismo

È tornato «il regime», argomento principale di quando si è alla frutta, o meglio ai moscerini della frutta. Ieri, in Italia, non sul Vernacoliere bensì su Repubblica, si poteva leggere una strepitosa sequenza di paragoni storici: il fascismo che, nel 1925, mette a tacere Corriere e La Stampa, la censura cinese con la condanna a dieci anni di carcere del giornalista Shi Tao, la Russia di Putin e l’assassinio di Anna Politkovskaja, e «oggi il premier Silvio Berlusconi, che ha querelato Repubblica». Meraviglioso. Sembra una barzelletta e gli accostamenti si commenterebbero da soli, invece li commenta anche una dotta chiosa in forma di domanda di Umberto Eco, firmatario, insieme ai soliti intellettuali, dell’appello congegnato da Repubblica stessa: «Come reagire al “regime”, visto che bisognerebbe accedere a quei media che il regime controlla?». Ha firmato anche Celentano, che appena apre bocca per dire che non cresce più l’erba finisce se va male in prima pagina del Corriere della Sera, se va bene in prima serata sulla Rai, da dove imbastirà un monologo sul regime, con una decina di milioni di euro in tasca e nella sua villa di Galbiate, dalla quale intentò causa a un povero contadino settantenne e alle sue pecore colpevoli di pascolare troppo vicino al confine dell’erba celentanesca. C’è anche sua moglie Claudia Mori, in procinto di tornare in televisione su Raidue, protagonista ben pagata di «X-Factor».
È comico, a pensarci, quanto lo sono i comici italiani di oggi, subito in coda con la penna in mano, da Crozza in giù: un presidente del Consiglio che querela un giornale mette in pericolo la libertà di stampa (ma quando il presidente querelatore di Repubblica era D’Alema non ricordo appelli contro il regime né tanta dovizia di paragoni ridicoli). D’altra parte, ve lo immaginate Hitler che querela Fritz Michael Gerlich? Per paradosso la querela di Berlusconi, essendo una querela, dovrebbe essere la prova del contrario: se un capo del governo ricorre ai mezzi di un qualsiasi cittadino, significa che non ne ha altri. Deve andare in tribunale, può vincerla o perderla. O pensano che la magistratura sia di Berlusconi? Allora si sbaglierebbe Travaglio. Chiedendo tra l’altro, per risarcimento, un milione di euro, se Repubblica perde Debenedetti è come se offrisse un caffè al nemico, niente rispetto al favore di averli querelati (ah, Silvio, chi ti consiglia?), un piagnisteo che durerà mesi.
La stampa estera è solidale? Forse all’estero non sanno che i firmatari sono quelli che godono in Italia della massima visibilità mediatica, quelli che se vogliono dire qualcosa non hanno problemi su nessun giornale, da Dario Fo a Camilleri, da Sandro Veronesi a Arnoldo Foà. C’è perfino l’immancabile Roberto Benigni (e consorte), il quale meno di un anno fa ha spremuto milioni di euro dalla vacca neppure così grassa del Festival di Sanremo per urlare il solito «Berluscooooniiiii!». Vivono, in Italia, nel migliore dei mondi possibili. Infatti, stessa faccia della stessa medaglia, se li mettete tutti insieme avrete la prova e l’organigramma del «regime».
Se non professate fede di antiberlusconismo acritico, se ragionate di volta in volta con la vostra testa (come scrisse Aldo Busi anni fa «è più servile dire sempre no a Berlusconi che dirgli sì o no a seconda dei casi»), siete tagliati fuori, e la pagate cara, non mettete piede neppure in Mondadori. Perfino Roberto D’Agostino si è preso nei giorni scorsi del servo di Berlusconi semplicemente per aver detto a Repubblica, convertitasi di colpo alla difesa delle gerarchie vaticane: «Come, state con la Chiesa ora? Dove sono finite le battaglie laiche, le unioni civili, il testamento biologico?». Pur di dare addosso a Berlusconi andrebbero a letto anche con Goebbels. Sui giornali non ne parliamo: se si collabora con Il Giornale si è servi, se si collabora con Repubblica si resiste al regime, e a prescindere da chi ci sia al governo.
Oh, non potevano mancare lo scrittore Antonio Scurati e Roberto Saviano, con i quali, tuttavia, a pensarci bene posso perfino essere d’accordo, leggendo i loro nomi ho riflettuto, e sì, un problema di libertà di stampa c’è, lo conosco in prima persona. Il primo, quando due anni fa ho pubblicato l’ultimo mio romanzo, «Contronatura», per Bompiani (che Edmondo Berselli su l’Espresso, non certo sul Giornale, definì «l’opera d’arte definitiva»), fece intervenire il suo agente presso la casa editrice per minacciarmi, costringendo l’editore a farmi un discorsino per impormi di «non scrivere più una sola riga contro Scurati» pena il «farmi terra bruciata intorno». Il secondo, Saviano, è un autore mediaticamente trasversalissimo e pagatissimo, scrive sulla Repubblica, sul Corriere della Sera, su Panorama, può andare ospite in trasmissioni Rai e Mediaset, è giustamente protetto giorno e notte da quattro guardie del corpo del governo italiano, ossia da Berlusconi, che oltretutto è l’editore del bestseller «Gomorra», oltre che editore di molti altri campioni dell’antiberlusconismo e firmatari dell’appello come Eugenio Scalfari, Federico Rampini, Concita De Gregorio, Corrado Augias, Dario Fo, Niccolò Ammaniti, Aldo Nove, Giuseppe Genna, Wu Ming, Sabina Guzzanti e chi più ne ha più ne metta, c’è spazio per tutti, o quasi.

Infatti Berlusconi non è ancora il mio editore, perché, si dice, parlo male degli autori del regime.

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