«Proibire non è la soluzione I violenti imitano gli adulti»

«Proibire non risolve, anzi rischia di alimentare il fenomeno». Enrico Molinari, docente di Psicologia clinica alla Cattolica e presidente dell’Ordine degli psicologi della Lombardia, esclude che ricette facili come spegnere i telefonini sui banchi di scuola possano essere determinanti nel combattere il bullismo: «È fondamentale creare una cultura dell’accettazione del diverso, dell’altro, del diversamente abile».
In teoria è chiaro. Ma come si trasmette il messaggio agli adolescenti?
«La soluzione è educare gli adulti, insegnanti e famiglie, a premiare e gratificare i buoni, a far sventolare bandiere positive, a contrapporre a un’idea malsana un’idea sana: se sono aggressivo verso un debole ci rimetto anche io perché l’uomo ha bisogno di socialità».
Perché l’esplosione di questa violenza tra i ragazzi proprio adesso?
«I bambini fanno i bulli con i poveretti che hanno in classe così come vedono gli adulti fare i bulli con altri poveretti. È un discorso che vale anche per la politica».
Vuol dire che i politici danno un cattivo esempio?
«Le forze politiche dovrebbero dare il buon esempio e invece certi estremismi nei confronti degli immigrati, che sono i nuovi disabili della società, alimentano fenomeni di bullismo. Gli adulti che linciano i rumeni a Opera sono come i ragazzi che fanno i bulli a scuola. Risolveremo il problema solo se il mondo degli adulti smetterà di fare il bullo».


Non crede che l’uso dei cellulari e in particolare dei videofonini sia da combattere?
«Sì, ma coinvolgendo e convincendo i giovani, non con un decreto prefettizio. Più proibiamo più alimentiamo una voglia di protagonismo che viene appagata dall’amplificazione del gesto. Non dico che i panni sporchi vadano lavati dentro le aule, ma quasi».

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