Gentile Caterina Soffici,
nel suo sferzante corsivo di martedì scorso mi biasima per non aver invitato nessuna donna a «Officina Italia», la manifestazione dedicata alla letteratura e alla creatività culturale italiana che aprirà i battenti domani a Milano. Ci sono alcune inesattezze nel suo articolo. Per esempio, non ho mai annunciato di voler dedicare l'edizione dell'anno venturo alle donne e ai transgender, come lei scrive, ma, eventualmente, «al secondo e al terzo sesso», che mi pare una nozione più inclusiva, interessante e meno provocatoria. Lascio perdere le altre imprecisioni. La mia non vuole essere una lettera di replica ma di scuse, e, spero, di chiarimento. Questa volta il suo sarcasmo me lo sono meritato e me lo tengo.
Vorrei, infatti, scusarmi pubblicamente per la grave mancanza che pesa su questa prima edizione di «Officina Italia», e me ne scuso non soltanto con tutte le tantissime scrittrici e intellettuali creative del nostro Paese ma anche con il pubblico, che verrà privato di una buona «metà del cielo» culturale italiano. Lei, giustamente, elenca decine di nomi di scrittrici di valore che avremmo potuto e dovuto interpellare. Io aggiungerei, a testimonianza della vitalità culturale dell'universo femminile, che la gran parte di chi legge, oltre che di chi scrive, sono donne. Il limite, oltre che la colpa, sarà invece tutto nostro. Avremo un festival monco.
Ovviamente, questo non era nelle nostre intenzioni. È stato il risultato di una lunga serie di disguidi organizzativi e di dimenticanze. Peggio ancora, potrebbe dire qualcuno. E avrebbe ragione. La discriminazione spesso è nelle pratiche, nelle consuetudini e nelle loro conseguenze oggettive, prima che nelle idee, nelle intenzioni, negli atti meditati o consapevoli.
Ho sentito il bisogno di fare pubblicamente queste mie scuse - a rischio di suonare un po patetico - perché credo che sopravvivano ancora oggi nel mondo delle professioni intellettuali, e in quello dell'editoria, numerose forme, spesso striscianti, di discriminazione o segregazione femminile. Ad esempio, la pressione sempre crescente, perché remunerativa, esercitata dall'editoria sulle scrittrici donne, soprattutto le esordienti, affinché scrivano non libri femminili, ma libri «al femminile», rivolti principalmente, se non esclusivamente, a un pubblico pensato come segmento di mercato delimitato da un recinto di gender. Credo, inoltre, che la misoginia rimanga, ancora oggi, una delle più profonde e tenaci matrici deteriori della nostra cultura, una delle più irriducibili sacche psicotiche che funestano la nostra mente collettiva. Un'antichissima malattia dello spirito, non meno diffusa e non meno pericolosa dell'antisemitismo.
Anche per questo motivo, mi rammarico particolarmente di questa battaglia persa. Cordialmente
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