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Quando anche i "corvi" si ravvedono

Due anni fa l'allora ministro Claudio Scajola denunciava i «corvi del Centro Studi di Confindustria che diffondono pessimismo». Oggi quello stesso Centro studi annuncia che il Paese è uscito dalla recessione. Guerra finita, dunque. Ammesso che sia mai stata combattuta

Due anni fa l'allora ministro Claudio Scajola denunciava i «corvi del Centro Studi di Confindustria che diffondono pessimismo». Oggi quello stesso Centro studi annuncia che il Paese è uscito dalla recessione. Guerra finita, dunque. Ammesso che sia mai stata combattuta.
Dal 2008 a oggi è stato molto difficile, per tutti, cogliere con precisione le dinamiche di una crisi inaspettata e difficilissima. Gli esperti di Confindustria hanno sbagliato? Senza dubbio, ma in buona compagnia. E non sempre al ribasso. Ad esempio, nel marzo del 2009 stimavano, per l’anno, un Pil in calo del 3%, ma i dati definitivi sono stati assai più pesanti, oltre il 5%. Nel luglio del 2008, al contrario, il Centro studi di Confindustria pronosticava l’arrivo di una recessione, che sembrava inverosimile; al punto da non suscitare reazioni, né polemiche, nemmeno dal governo. E invece le loro analisi risultarono azzeccate.
Analizzando le stime pubblicate a cadenza regolare dagli esperti di Viale dell’Astronomia emerge, più che una prevenzione nei confronti del governo, la tendenza ad allinearsi alle previsioni di grandi organizzazioni internazionali, come l’Ocse, il Fmi, la Commissione europea. D’altronde è improbabile che emergano grandi differenze tra i centri studi, sapendo che i dati grezzi sono all’incirca gli stessi. Semmai quel che è mancato è un po’ di coraggio interpretativo.
L’ufficio stampa di Confindustria fa notare che nel maggio del 2009 aveva annunciato «germogli di ripresa». Vero. Ma se andiamo a riprendere i comunicati stampa scopriamo che, a metà gennaio 2010, il Centro studi riteneva «accidentata e tortuosa» la strada della ripresa, e che «sarebbe stato difficile per l’economia italiana centrare, quest’anno, l'obiettivo di una crescita del Pil superiore all’1%». Circa cinque mesi fa, insomma, era più pessimista.
Che cos’è successo nel frattempo? La ripresa mondiale si è rafforzata, l’euro è sceso agevolando le nostre esportazioni, la Cina ha spinto più del previsto e l'America si è ripresa. Il quadro congiunturale, insomma, è cambiato in positivo, nonostante la crisi del debito pubblico in Grecia. Ed è oggettivamente difficile incolpare il centro per non aver previsto questa evoluzione, che ha sorpreso più di un esperto e che resta, comunque, oggettivamente fragile. E allora le differenze di tono e di valutazione rispetto al mondo politico si spiegano da un lato con la tendenza, da parte dei centri studi a far prevalere la cautela. Meglio annunciare una lieve correzione al rialzo, piuttosto che al ribasso. D’altro canto, contrariamente ai centri studi, il governo è indotto a considerare l’impatto psicologico di certi annunci sull’opinione pubblica.
Nei mesi di crisi Berlusconi non era l’unico a predicare fiducia. Obama, Sarkozy, l’allora premier britannico Gordon Brown, pur senza esagerare, tendevano ad enfatizzare qualunque dato positivo. Il timore era quello della profezia che si autoavvera. Se tutti, ma proprio tutti, annunciano tempi grami, l’atteggiamento della gente diventa ancora più cupo e l’economia finisce per accentuare la frenata. Dunque le autorità politiche tendono a spezzare il pessimismo.
Con qualche buona ragione, peraltro. Visto il dato di ieri, l’ «ottimismo ad ogni costo» appare, in retrospettiva, giustificato.

Così come, peraltro, i germogli colti con maggior prudenza, un anno fa, dai «giardinieri» di Confindustria.

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