Quando "Famiglia Cristiana" sfruttava noi figli dei poveri

Daragazzo vendevo porta a porta la rivista, che così non pagava le edicole. E come me migliaia di minori. A fine mese ci mandavano a casa dei lettori a battere cassa. La ricompensa ai volontari? Una gita. E pranzo a carico nostro

Quando "Famiglia Cristiana" sfruttava noi figli dei poveri

Siccome dal 1965 al 1971 ho consegnato a domicilio ogni settimana, gratis et amore Dei, 120 copie di Famiglia Cristiana, per un totale di oltre 6.000 l’anno, penso d’essermi guadagnato d’ufficio il diritto di dire la mia sulla deriva girotondina dell’ebdomadario della Società San Paolo, in origine Pia, oggi non più. Fossi don Antonio Sciortino, ci andrei molto cauto nel parlare, come ha fatto l’altrieri su Repubblica, di «prese di posizione autoritarie» (versione edulcorata del fascismo «sotto altre forme» denunciato dal suo notista politico Beppe Del Colle) e soprattutto di «enorme distanza dai problemi che si aggravano», di «povertà in aumento», di «famiglie che non arrivano alla fine del mese», di «impiegati alle mense della Caritas», il tutto attribuito al governo in carica, si capisce. Avendo il settimanale paolino fondato la sua prosperità sullo sfruttamento - sia pure per interposta persona (i parroci) - della manodopera minorile, e dei figli dei poveri in particolare, il suo direttore dovrebbe disinfettare con la varechina il pavimento del pulpito dal quale pretende di fare la predica.
E visto che io ero costretto a lavorare come zelatore di Famiglia Cristiana quando lui non era neanche prete, né tantomeno giornalista, gli rinfresco la memoria. A quei tempi il settimanale non andava neppure in edicola, arrivava soltanto nelle parrocchie. Il motivo è semplice: in questo modo la casa editrice di Alba non pagava l’aggio agli edicolanti. Era tutto guadagno. Perciò accadeva questo. Legioni di ragazzini - non credo infatti d’essere stato l’unico reclutato, nelle 25.000 parrocchie italiane - ogni settimana dovevano prelevare in canonica il fastello di copie loro assegnato e andare a distribuirle casa per casa alle famiglie cristiane, quelle vere. Niente cassette della posta, niente ascensori. Su e giù per le scale. Porta a porta, ma non alla maniera di Bruno Vespa. Una fatica bestia. Ricompensata, capirai, solo da una gita annuale in pullman - al santuario di San Romedio, sul Pasubio, a Passo Rolle - con pranzo al sacco. A carico dei viaggiatori, ovvio.
Già questa attività mi rende degno del premio Pirla patinato. Ma v’era di peggio. A fine mese, armato di un cartoncino ciclostilato con tante caselle da riempire che nella mia memoria coincide con la cartella delle tasse, dovevo compiere un giro aggiuntivo per battere cassa dalle predette famiglie cristiane, nella maggioranza dei casi famiglie che non arrivavano alla fine del mese, per dirla con don Sciortino. Ricordo come se fosse ieri la sconsolata espressione della signora Biolo, moglie di un metronotte, che si presentava alla porta scarmigliata, le mani umide di bucato, con due o tre delle sue innumerevoli figliolette aggrappate al grembiule: ogni volta chiedeva il rinvio dell’esazione. Oppure le lacrime che trovavo da asciugare in casa Bellenzier: una vecchia di 90 anni prigioniera a letto, che m’implorava di darle da bere. Ma come poteva un bambino porgere l’acqua a una persona che giaceva supina in posizione orizzontale se la cannuccia affondata nel bicchiere era di vetro? Mica si piega, il vetro. Tragedie così.
Si sarà anche trattato di lettori che mai avrebbero dovuto permettersi il lusso di sfogliare Famiglia Cristiana. Ma la cruda verità è che non si mandano i figli del popolo a riscuotere la mesata nel nome del Signore o di don Renato, perché quando chi deve saldare il conto non ha neppure i soldi per il pane, quello diventa un pizzo bell’e buono, anche se serve a finanziare la cosiddetta (allora) «buona stampa».
Don Sciortino dirà che questo triste passato non lo riguarda e che oggi sono soltanto le edicole e la pubblicità a pagargli lo stipendio. Nell’arte di svicolare è imbattibile. Secondo lui, quella che il direttore della Sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi, ha affidato all’Ansa dopo gli ultimi stravaganti editoriali apparsi su Famiglia Cristiana, «non è una sconfessione» (la riporto per chi se la fosse persa: «Famiglia Cristiana non ha titolo per esprimere né la linea della Santa Sede né quella della Conferenza episcopale italiana»). Bisogna essere gnucchi oppure specializzati in free climbing sugli specchi per immaginare che il portavoce papale avverta il bisogno, a Ferragosto, di dettare alla più importante agenzia di stampa che quanto va scrivendo don Sciortino rappresenta la personale opinione di don Sciortino. Ma, anche volendo ipotizzare che nelle sacre stanze padre Lombardi sia confidenzialmente soprannominato Lapalisse, chissà come sarà venuto in mente a quei fessi di direttori dei quotidiani italiani di titolare in prima pagina che il Vaticano prende le distanze da Famiglia Cristiana.
Il responsabile del settimanale paolino ha questa puerile capacità di chiamarsi fuori accampando pretesti risibili. Piccolo aneddoto. Sette anni fa, alla vigilia di Natale, scoprii che dentro un Cd venduto con la sua rivista a 7.000 lire, che doveva contenere l’Hodie Christus natus est di Pierluigi da Palestrina, erano incise le canzoni dei Beatles. Scrissi un articolo in punta di penna. Appena digerito il panettone, don Sciortino m’inviò una piccatissima lettera in cui, anziché rimediare - come sarebbe stato suo dovere - alla certo involontaria frode commerciale, si dispiaceva per i lettori del Giornale, «che nello spazio “occupato” dalla sua penosa e, mi permetta, maliziosa elucubrazione mentale, avrebbero potuto trovare qualcosa di più significativo da leggere, almeno alla vigilia di Natale». Fin qui siamo allo stile dell’uomo. Poi però il sacerdote aggiungeva un’insinuazione, questa sì maliziosa: «Solo pochissimi dischi, ci assicurano, sono usciti dalle maglie del controllo elettronico finale: uno è capitato proprio a lei. Che strana coincidenza!». Neanche mi fossi procurato il Cd con l’aiuto di Cosa nostra. Peccato invece che provenisse dall’edicola. Resto comunque in attesa di ascoltare il Magnificat in luogo di Lady Madonna.
Vogliamo parlare della diffusione di Famiglia Cristiana? Un disastro. Ma il direttore permaloso non c’entra, ci mancherebbe. Vent’anni fa il settimanale vendeva 1.068.000 copie. Dieci anni dopo pressappoco lo stesso: 1.013.000. L’anno successivo fu affidato a don Sciortino e oggi ne vende 604.000 (ultima media mobile di 12 mesi, dati dichiarati dall’editore). Un calo del 40% abbondante. Qualsiasi direttore laico avrebbe già fatto harakiri. Lui no, ha fiducia nella divina provvidenza. Per cui si limita a dichiarare a Repubblica: «Della crisi risentiamo come tutti gli altri giornali». Insomma, non c’entra, non è mai colpa sua, dunque il suo editore, o il padre Lombardi di turno, non possono sconfessarlo. Si dà il caso che un’altra testata cattolica, il quotidiano Avvenire, nello stesso periodo preso in esame sia passato da 85.000 a 104.000 copie. Un aumento del 22% abbondante.
Del resto quando una rivista cristiana sceglie la discoteca Alcatraz di Milano per reclamizzare un restyling all’insegna dello slogan, applaudito da Dario Fo, «Non è mica casa e chiesa», poi non bisogna chiedersi perché tanti buoni credenti la caccino di casa e una moltitudine di parrocchie la rimuovano dal bancone della chiesa e neppure lamentarsi se in giro qualcuno la chiama Fanghiglia Cristiana.
Sempre a leggere La Repubblica di Ferragosto, pare che i redattori di Famiglia Cristiana, anziché prendersela con loro stessi e col direttore che li guida, abbiano «un diavolo per capello con Il Giornale e Libero», talché don Vincenzo Marras, direttore della radio dei Paolini, è potuto uscirsene con questo raffinato commento: «Figuriamoci, le accuse di un giornalista dei servizi segreti come Renato Betulla Farina». Bisognerebbe segnalargli, in ossequio alla correzione fraterna prescritta dal Vangelo, che il più famoso inviato speciale di Famiglia Cristiana a suo tempo fu arrestato con l’accusa d’aver compilato a scopo di lucro dossier illegali su importanti personaggi e risulta uno dei 34 indagati che un mese fa hanno ricevuto dalla Procura di Milano l’avviso di conclusione delle indagini sulla rete di spioni messa in piedi da Giuliano Tavaroli & company. Pare che questo collega fosse in «strettissimi rapporti con Pio Pompa, l’uomo del Sismi» (fonte: agenzia Il Velino), quando si dice il caso.
Ci fu un saggio direttore, don Giuseppe Zilli, che portò Famiglia Cristiana alla tiratura record di due milioni di copie. Purtroppo morì nel 1980 in un incidente stradale.

La sera, prima di addormentarsi, pregava così: «Signore, fammi stufare cinque minuti prima dei miei lettori». Ci provi anche lei, don Sciortino. Magari ottiene la grazia.
Stefano Lorenzettostefano.lorenzetto@ilgiornale.it

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