Quando i cantautori destavano sospetti

«È un autentico pioniere della critica e della saggistica nel mondo cantautorale. I suoi articoli sono esemplari per la colta scrittura, la preparazione storica e il caldo entusiasmo tematico», firmato Paolo Conte. Basterebbe un’introduzione così a fare il blasone di Musica sulla carta (Quarant’anni di giornalismo intorno alla canzone) di Enrico De Angelis, in libreria per le edizioni Zona.
De Angelis - giornalista e fondatore del Premio Tenco, di cui è responsabile artistico dal 1996 - ha raccolto i suoi articoli, pubblicati dal 1969 al 2003 sull’Arena di Verona. Non è la consueta e un po’ narcisistica vetrina del proprio passato; piuttosto un’indagine storica e di costume sull’evoluzione della canzone d’autore. Quando De Angelis iniziò, il cantautore (soprattutto il nuovo cantautore «politico» alla Guccini o De Gregori) era visto con sospetto. Infatti nella prefazione De Angelis ricorda la lettera di un lettore indignato che lo ammoniva: «Perché vuole inculcare nella testa degli italiani i nuovi cantautori come Rocchi, Guccini, Sorrenti ed altri che quando cantano fanno pietà ed orrore alla bella canzone italiana?». Un pioniere controcorrente insomma, come noi che ci occupavamo di blues tra l’indifferenza o i lazzi di chi si dava alle cose «serie». Difficile parlare di certi argomenti su un quotidiano, soprattutto in quel periodo. Ma De Angelis l’ha fatto con passione, unendo la forza della scrittura ad un misto di profondità e leggerezza. Poi i cantautori sono esplosi ma questa è un’altra storia. Nelle pagine di De Angelis trovate la storia ma anche tante curiosità. Per esempio la prima conferenza stampa per presentare un disco; oggi se ne fanno dieci al giorno per promuovere album inutili, la première invece era di un tal Franco Battiato. Oppure la recensione del primo concerto di Paolo Conte.

C’è la memoria storica sua e nostra e anche una gustosa analisi linguistica (ad esempio allora si scriveva «negro») e divertenti aneddoti, come quella volta che un titolista (non sempre l’autore dell’articolo ne fa il titolo) definì l’allora oscuro e ribelle Juri Camisasca «vedette del pop».

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