Quando il libro è un’opera d’arte

E cco a Palazzo Reale sbarcare una mostra bella, sensata e intelligente che dimostra una volta in più quanto il nostro territorio abbia da offrire anche in termini di cultura artistica aldilà di titoli di cassetta non sempre all’altezza delle aspettative per qualità e quantità delle opere. L’esposizione dei libri d’artista della collezione Consolandi, illuminato notaio milanese che ha trascorso la sua lunga vita a caccia di capolavori in compagnia della moglie Franca, è invece una di quelle «chicche» forse non in grado di attirare lunghe code ma di grande unicità e valore; sia per la tipologia di opere poco conosciute al grande pubblico (specie quando gli autori sono i maggiori artisti della storia recente), sia perchè il libro d’artista, di cui i futuristi, (in particolare Fortunato Depero) furono i principali innovatori, rappresenta un simbolo fortemente «glocal» in una città che è capitale dell’editoria e, negli anni Sessanta, ha cullato i maggiori interpreti della cosiddetta poesia visiva. «A un certo punto del mio percorso di collezionista -racconta Paolo Consolandi, la cui casa museo di via Santa Marta attira da sempre appassionati e critici da tutto il mondo- sono stato colpito da quei libri che per loro natura sfuggivano alla semplice funzione informativa. Alcuni di questi erano molto di più, erano opere d’arte a pieno titolo imbrigliate dentro un medium diverso non riconducibile agli stereotipi del quadro o della scultura; una via complementare -dice- che mi ha aperto la via per un collezionismo parallelo a quello delle opere, un modo ancor più intimo e sottile per seguire il corso e le mutazioni dell’arte del Novecento».
Oggi quei Libri rappresentano probabilmente il cuore pulsante di una collezione che dalle avanguardie storiche spazia fino ai giorni nostri, giacchè l’anziano intellettuale non smette ancora oggi di cercare nuovi talenti. Custoditi gelosamente in teche di plexiglass, sobrio allestimento che si fonde armonicamente con le sale di Palazzo Reale, ecco piccoli capolavori che del libro editorialmente inteso conservano soltanto la forma e la rilegatura. Per ciò che riguarda dimensioni, immagini e materiali si tratta di opere d’arte vere e proprie che rispecchiano la poetica di artisti delle varie generazioni del Novecento, in edizione unica o tiratura limitata. Il viaggio parte dalle avanguardie storiche attraverso collage o assemblage, come nel caso dei volumi surrealisti di Joan Mirò, Max Ernst fino alle invenzioni cubiste di Picasso e Leger, per sfociare alle opere degli astrattisti degli anni Cinquanta e a quegli artisti che hanno utilizzato il libro come luogo di sperimentazione visiva e concettuale, vedi i «dossier postali» di Alighiero Boetti e Giulio Paolini. La mostra rappresenta una sorta di percorso «in miniatura» tra le tappe fondamentali dell’arte moderna e contemporanea e, in alcuni casi, si ha l’impressione che nella loro versione «editoriale» i grandi maestri si siano espressi con qualche licenza poetica in più. Ecco allora le copertine spazialiste di Lucio Fontana, i libri materici e organici del tedesco Anselm Kiefer, o le pagine «animate» del sudafricano William Kentridge che riproduce di suo pugno segni e sagome che raccontano una vicenda parallela. E ancora le «sceneggiature» un po’ cinematografiche dei libri argentati e dorati del genio pop Andy Warhol, che alla fine degli anni Cinquanta scelse proprio il libro come contenitore delle immagini contemporanee. Ben rappresentata in mostra la stagione concettuale con opere miliari come il «Libro dimenticato a memoria» di Vincenzo Agnetti del 1969, costituito dall’immagine di un libro a cui l’artista ha ritagliato la parte scritta delle pagine. A rappresentare il dopoguerra europeo i libri postindustriali di Arman e quelli informali di Tapies e poi una carrellata verso l’anima della collezione, dove i libri sono il teatro della sperimentazione dei linguaggi: da Ruscha a Richter, da LeWitt a Boltansky, da Beuys a Gilbert&George. Fino ai contemporanei come Cattelan e Damien Hirst.

«Oggi ho un solo rimpianto -dice Consolandi- quello di non possedere quasi nulla dei magnifici libri paroliberi futuristi: ho commesso l’errore di non comprarli quando costavano e oggi è tardi, hanno prezzi altissimi». Dopo aver visto la sua collezione si può anche dire: poco male.

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