Come morire? «Viviamo in un mondo che ha paura di questa domanda, e quindi la evita. Mai forse il rapporto con la morte è stato povero come in questi tempi di aridità spirituale, in cui gli uomini, nella fretta di esistere, sembrano volerne eludere il mistero, ignari di prosciugare così una fonte essenziale del gusto di vivere...»
Inizia così la prefazione scritta una decina di anni fa da François Mitterand, malato di cancro, per il libro di una psicoterapeuta amica che lo seguì nel viaggio più impegnativo della sua vita, quello dellappuntamento con la sua fine (per lo meno terrena).
Il libro si chiama «La morte Amica», è scritto da Marie de Hennezel, psicoanalista parigina, ed è sicuramente, prima di tutto, una lezione di vita, un concentrato di serenità e di saggezza. Personalmente, dopo averlo letto ho decisamente cambiato il mio precedente atteggiamento personale (ma penso condiviso dai più) nei confronti della morte (un misto di paura, e di negazione), tanto da utilizzarlo come uno dei libri di testo consigliati per i miei studenti, di medicina, ma anche di altre facoltà, che si accostano allo studio della Psicologia Medica.
Che cosa infatti ci spaventa di più della morte? Perché limprovvisa fine del prof. Scoglio ha così colpito tutti, in modo tale da riempire le prime pagine dei quotidiani, anche nazionali? Forse solo perché è avvenuta «in diretta»? O perché lo abbiamo visto in piena salute fino a pochi istanti prima? O forse perché non riferibile ad alcun evento causale...(incidente stradale, attentato ecc.)?
È proprio questa ultima considerazione, quella che ci ha così colpiti (e spaventati) di questa, morte, è il fatto di non poterne avere «il controllo», almeno in termini psicologici . Non cera nessun fattore che potesse fare prevedere quello che si è verificato: se si va in macchina, o in aereo, ma anche se si attraversa una strada, qualche rischio ovviamente esiste, ed il nostro inconscio riesce, bene o male, ad elaborarlo, ma se si è seduti nella propria poltrona in uno studio televisivo, e si muore (i moribondi di solito non vengono invitati), allora tutti i nostri «schemi mentali» saltano.
Viviamo infatti in una società in cui si pensa di potere prevedere tutto: dai risultati elettorali, alla crescita del debito pubblico, da chi vincerà il premio Oscar, alla durata della nostra vita.... a seconda che nel nostro sangue prevalga il colesterolo «buono»rispetto a quello «cattivo».
In ogni campo, dallistruzione, alla medicina, alla politica abbiamo la convinzione (o forse lillusione) che ormai sappiamo capire la natura, e il corpo... e la mente umana, e che adesso, oltretutto abbiamo anche imparato a controllarli... ovviamente per il bene di tutti ...
Ma quando accade limprevisto, o meglio, lassolutamente imprevedibile, allora tutte queste nostre convinzioni vacillano, e con loro anche la nostra sicurezza.
E allora che fare? Sentite cosa dice la de Hennezel: «La morte, la nascondiamo come se fosse vergognosa e sporca. Nella morte, vediamo soltanto orrore, assurdità, sofferenza inutile e penosa, scandalo insopportabile: è invece il momento culminante della nostra vita, ne è il coronamento, quello che le dà senso e valore. Resta comunque un immenso mistero, un grande punto interrogativo che portiamo nellintimità più profonda».
Cerchiamo di imparare allora da questa «Morte» (come da altre del resto), una lezione di «Vita» su quella che è la più profonda delle esperienze umane, parte di un «mistero», quello di esistere, e di morire, che anche se non è chiarito, vale sempre la pena di essere vissuto pienamente, anche comprendendo (e scusando) un po di più noi stessi e le nostre paure.
*Università di Genova
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