Se si pensa che il rapporto più difficile tra due persone sia quello fra marito e moglie, è perché non si è mai avuto a che fare con un editore in quanto autore, o con un autore come editore. Chi vive per scrivere e chi pubblica per vivere sono due individui che, ovviamente, si attraggono irresistibilmente, ma rimanendo agli antipodi: non posso esistere uno senza laltro e proprio per questo non si sopportano.
Un piccolo campione della varietà di sentimenti che percorrono il legame professionale e umano fra un editore e uno scrittore - gratitudine, risentimento, stima, fastidio - lo offre un piccolo carteggio inedito, recuperato in quellimmenso baule letterario che è la Fondazione Mondadori e finito dentro un libretto curioso di un editore milanese che pubblica piccole storie di avventure librarie, come quella che ha per protagonisti Alberto Mondadori (1914-76), primo dei quattro figli di Arnoldo, che alla fine degli anni 50 se ne andrà dalla «casa» di famiglia per fondare il Saggiatore; e il triestino Umberto Saba, al secolo Umberto Poli (1883-1957), fra i grandi poeti del nostro 900. Sono loro a scambiarsi, fra il 46 e il 47, le lettere inedite raccolte in Ti scrivo dalla tua macchina (Henry Beyle, pagg. 32, euro 22): il carteggio, battuto in Olivetti Studio 42, è costellato di sommesse rimostranze per contratti non rispettati, lamentele sui tempi difficili - è sempre una «vita dinferno»... - piccole richieste, attestati di amicizia, progetti editoriali e un tira-e-molla per una macchina da scrivere che Saba ha avuto in prestito da Alberto Mondadori, portata da Milano a Trieste, la quale gli viene richiesta da un imbarazzato Alberto che deve a sua volta prestarla al padre Arnoldo in partenza per lestero, e che alla fine, poco prima della riconsegna, gli viene donata dalleditore: «Mio caro Umberto, quella macchina non è più mia, è tua».
Ma al di là degli strumenti dello scrivere, è interessante il contenuto degli scritti. Come la lettera che Saba ticchetta il 18 settembre 46, lagnandosi - molto educatamente - con Alberto perché «mi avevi promesse 20.000 mensili per sei mesi, a conto di lavori forniti e da fornire. Non ti faccio nessun rimprovero, ma i 6 mesi sono passati, ed io ho ricevuto, su questa partita, 50.000 lire, comprese le 20 di anticipo su Mediterranee». Poi cè il premio Viareggio, appena vinto, ridottosi (le tasse!) «a nette 80.000 lire: due mesi o poco più di vita»; e i ritardi per Mediterranee («Mi avevi detto che il libro sarebbe uscito a settembre: ma io non ho, fino ad oggi, ricevute nemmeno le prime bozze»), e le solite raccomandazioni per far pubblicare un libro di poesie, del figlio del suo ospite...
La risposta di Alberto, per la cronaca, è un capolavoro retorico di paraculaggine: «Mio caro Umberto, tu non puoi immaginare come io abbia sofferto...», «Sto menando una vita dinferno...», «Perdonami in nome dellaffetto che ti porto...
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