Gaber non ci ha mai lasciati. Anzi, mano a mano che passano gli anni, la sua presenza sembra farsi sempre più imponente. Gli spettacoli teatrali esplicitamente dedicati alle sue canzoni sono numerosi: solo quest’anno abbiamo visto Bambini G dei Piccoli cantori di Milano, Non contante su di noi delle ex iene Luca e Paolo, e sarà in tournée anche nel 2012 Eretici e corsari interpretato da Neri Marcoré e Gioele Dix. Quanto alle iniziative editoriali: dvd e cd dell’intera carriera del cantante presidiano in pianta stabile (da parecchio) edicole e negozi. Senza contare i libri, l’ultimo è Quando parla Gaber (Chiarelettere), un collage di dichiarazioni, interviste e testi. Tanto attivismo è supportato ma alimentato solo in parte dalla Fondazione Gaber: semplicemente le canzoni sono vive e trovano la strada che conduce al pubblico.
Gaber il comunista senza partito, e in seguito il traditore, il qualunquista, il marito di Ombretta Colli militante di Forza Italia... «Ci eravamo rotti le scatole di questa sinistra - raccontò Sandro Luporini, geniale coautore di Gaber, in un’intervista di qualche anno fa - però rimanendo di sinistra. Non dimentichiamo poi che la sinistra a Giorgio aveva fatto delle cose piuttosto strane, non le voglio raccontare, anzi le racconto: dopo Io se fossi Dio, dove c’è un verso che dice “i grigi compagni del Pci”, in Emilia gli hanno tolto i teatri». Gliene hanno dette di tutti i colori ma, alla fine, lui rimane sul palco, pronto a parlare a una generazione dopo l’altra. Al contrario di molti compagni di strada incensati per conformismo ma di fatto dimenticati. Oggi chi mai andrebbe a vedere le commedie di Dario Fo dedicate ai partigiani palestinesi e intrise di maoismo? Nessuno.
Gaber invece non tramonterà mai perché la sue canzoni vanno molto al di là della politica, basta ascolare brani come L’illogica allegria, o Gildo, o L’elastico. Roba che tocca le corde del cuore di qualsiasi uomo in qualsiasi epoca. Ma anche restando alla politica, c’è da divertirsi nel notare le «assonanze» con la realtà che viviamo in questo periodo. E senza voler attualizzare a tutti i costi capolavori incisi più di trent’anni fa, perché non ne hanno bisogno: fotografano l’anima del Paese.
Nella Presa del potere, Gaber prende a frustate la tentazione di affidarsi ai tecnici, di lasciar fare a chi se ne intende: «Ora si tolgono i mantelli / son già sicuri di aver vinto / anche le maschere van giù / ormai non ne han bisogno più / son già seduti in Parlamento. / Ora si possono vedere / sono una razza superiore / sono bellissimi e hitleriani. / Chi sono? Chi sono? / Sono i tecnocrati italiani». Levato il riferimento al nazismo, come non sorridere davanti alle analogie col presente? E mentre i tecnici lavorano, «L’Italia giocava alle carte / e parlava di calcio nei bar». A carte oggi si gioca on line, e il calcio di cui si parla si gioca nelle aule di tribunale. Sfumature: nella sostanza ci siamo. A che hanno risalgono questi versi? Al 1972.
Ce n’è per tutti, il cantante colpiva a destra e a sinistra, ovunque ci fosse retorica. Nelle Elezioni, molto invocate in queste settimane, Gaber fa del sarcasmo sul rito delle elezioni come panacea a ogni male e come via maestra alla democrazia.
Quanto manca un nuovo Gaber alla canzone italiana...
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