Quant’è depresso James Bond: ha perduto moglie e doppio zero

Quant’è depresso James Bond: ha perduto moglie e doppio zero

Maurizio Cabona

Ian Fleming usciva dal primo infarto quando pubblicò Si vive solo due volte (1964), oggi in edicola con Il Giornale nella traduzione - d’epoca, dunque buona - di Enrico Cicogna. Lo stato d’animo di Fleming, che si sarebbe spento in quello stesso 1964, spiega l’haiku di Basho, che James Bond cita per il collega e rivale nipponico Tanaka: «Si vive solo due volte: quando si nasce e quando si vede la morte in faccia». Nel film eponimo di Lewis Gilbert (1967), con Sean Connery, l’haiku diventa: «Si vive solo due volte: una vita per te e una per i tuoi sogni».
Come Fleming, anche il Bond del romanzo è depresso: ha appena perduto la moglie, sposata alla fine di Al servizio segreto di sua Maestà; ha subìto rovesci e perduto il doppio zero, cioè la licenza d’uccidere. Trasferito al servizio diplomatico, viene incaricato di una missione particolarmente difficile, proprio perché si scuota.
La missione è infatti ai danni sia dell’Unione Sovietica (e non è una novità), sia degli Stati Uniti. Bond deve infatti ottenere dai giapponesi la loro macchina che decritta i codici russi, che gli americani usano ma negano a Londra. «Che cosa penseranno - chiede Bond - quelli della Cia? È uno sfacciato colpo basso». Il colonnello Tanner dell’Intelligence Service gli risponde: «La Cia non è padrona del Giappone e comunque non glielo diremo. (...) E la Cia ha i suoi torti. Spesso ficca il naso nel nostro lavoro, ovunque, creandoci grane».
Ed ecco come M., capo di Bond, descrive il capo dei servizi segreti giapponesi: «Quel Tanaka è un grand’uomo. Si è diplomato a Oxford, poi è tornato in Inghilterra, come spia, prima della guerra. Poi s’è arruolato nella Kempeitai, la loro Gestapo, e s’è addestrato come kamikaze. Senza la resa, sarebbe morto».
E ora l’analisi del Giappone, che Fleming attribuisce ad Henderson, spia australiana a Tokio: «Occupazione e influsso americano sembrano la base di una stretta collaborazione nippo-americana. Ma un giapponese resta giapponese (...). È il loro spirito che conta, non le loro espressioni bugiarde (...). E il tempo non conta per loro. Dieci anni sono l’ammiccare di una stella, per i grandi. (...) Questa gente ragiona in anni, non in mesi o giorni. Pensa in termini di secoli. E ha ragione».
Sempre nascosto dietro l’australiano Henderson, Fleming prosegue la sua analisi storica: «I giapponesi sono una razza diversa. Hanno cominciato a essere civili, nel senso abietto che alla parola diamo in Occidente, cinquanta o al massimo cent’anni fa. Gratta un russo e troverai un tartaro; gratta un giapponese e troverai un samurai. La maggior parte delle storie sui samurai sono leggende, come le balle del selvaggio West da dove sono nati gli americani, o i vostri guerrieri in armatura lucente della corte di re Artù. (...). L’Onu scatenerà l’ira di Dio quando «libererà» i popoli coloniali. Diamo mille anni di tempo, e allora sì. Ma dieci sono pochi. Sostituiremmo le loro cerbottane con le mitragliatrici. Vedrai quando cominceranno a pretendere l’energia nucleare. Perché naturalmente vorranno la «parità» con le sporche potenze imperialistiche. Scommetto che accadrà prima di dieci anni. Allora mi scaverò un buco e mi ci ficcherò dentro».
Bond nota che ciò non è democratico, così Henderson/Fleming replica: «Propendo per un governo aristocratico. E per un voto proporzionato a seconda delle categorie individuali». E Bond: «C’è un buon senso aborigeno in ciò che dici».

Riprende Henderson: «Non parlarmi di aborigeni! Sai che in Australia c’è un movimento per concedere loro il voto? Non parlarmi più con quel tono da progressista».
Naturalmente - nel film di Gilbert - Henderson (interpretato da Charles Gray) diventa inglese; naturalmente non dice questo. Ci sono dei vantaggi a leggere i libri: ve lo dice uno pagato per vedere film.

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