Due ore e cinquantadue minuti di parole, per calpestare la memoria di Fabrizio Quattrocchi. Due ore e cinquantadue minuti di consiglio comunale per dire quello che la sinistra aveva già deciso e non aveva il coraggio di dire. Due ore e cinquantadue minuti per trovare una scusa e per far vedere che si è trattato di una scelta non ideologica. Per fare cioè quello che la maggioranza, per bocca del presidente del consiglio comunale Emanuele Guastavino aveva promesso di non fare. Tre settimane e più di rinvii alle mozioni del centrodestra motivati dall'illusione di trovare un punto di accordo, una soluzione che non scontentasse nessuno ma che al tempo stesso ricordasse Fabrizio Quattrocchi.
Ma se nel giorno della beffa subita da An e Forza Italia a nome della minoranza i Ds avevano messo sullo stesso piano il genovese trucidato barbaramente dai terroristi iracheni e Carlo Giuliani, morto mentre cercava di uccidere dei carabinieri, ieri, gettata la maschera alla quale avevano creduto i consiglieri di opposizione, i Ds sono riusciti a fare di peggio. Non hanno neppure preso in considerazione l’idea di offrire lo stesso cippo che con estrema solerzia avevano concesso al no global sceso in piazza armato e mascherato. Di più. I Ds hanno fatto finta di riunire i capigruppo di maggioranza per limare il testo delle mozioni in modo da renderle «votabili» anche dalla sinistra, o quantomeno da ottenere un’astensione che avrebbe fatto passare la proposta. Poi, dopo la sospensione, hanno comunicato l’intenzione di lasciare libertà di coscienza ai singoli: con il risultato che i singoli hanno votato tutti contro, ad eccezione del capogruppo Simone Farello, costretto ad astenersi come promesso.
I risultati delle votazioni sulle due mozioni di An e Forza Italia, praticamente identiche per forma e sostanza? La prima: 12 sì, 21 no, 4 astenuti. La seconda: 12 sì, 23 no, 2 astenuti (oltre a Farello, il capogruppo di Liguria Nuova Sergio Castellaneta, contrario alle intitolazioni di vie perché strumentali). Tra i no c’era anche quello dell’ex candidato sindaco di Forza Italia, Rinaldo Magnani, così come al momento del voto ha abbandonato l’aula un altro azzurro, Roberto Garbarino. Un comportamento identico a quello della Margherita che per il capogruppo della Lega, Edoardo Rixi, ha dimostrato ancora una volta di «ispirarsi a parole ai valori cattolici e poi nei fatti di comportarsi come Ponzio Pilato».
Per la cronaca, anche la giunta ha evitato di sbilanciarsi dando indicazioni al consiglio. Il sindaco Giuseppe Pericu, assente come quasi tutti i suoi assessori al momento dell’inizio del dibattito, tanto da provocare un forte ritardo, non era neppure in aula al momento del voto. Come d’altra parte al funerale. C’era invece, compatta, la maggioranza, che non ha voluto correre rischi di vedere approvare qualcosa che in città potesse ricordare un lavoratore genovese vittima del terrorismo islamico. Senza dirlo esplicitamente, è tornato il concetto del «mercenario», anche perché i lavoratori non sono tutti uguali per la sinistra. E lo ha confermato con il suo intervento Laura Tartarini, di Rifondazione, che ha spiegato come Quattrocchi non possa essere considerato degno di essere ricordato, perché in quella guerra è andato per denaro, e «quando è stato ucciso non aveva una cazzuola in mano». Quel denaro che, ovviamente, nell’immaginario della sinistra contraria a via Quattrocchi, non devono aver preso Enzo Baldoni e Giuliana Sgrena, le due «Simone» liberate da un governo che non hanno mai neppure ringraziato, o i tanti italiani citati dai consiglieri di Rifondazione, dei Comunisti italiani, persino dell’Udeur di Ottavio Cosma. Tanto che dal consiglio, piuttosto che votare una via all’unica vittima genovese, onorata persino a Roma o a Napoli da maggioranze di sinistra per iniziativa diretta di sindaci dei Ds o della Margherita, è arrivata la proposta a trovare un luogo da dedicare a «tutte le vittime civili della guerra in Irak». Con precisi distinguo, perché i «militari» non rientrino tra quelli che hanno diritto a una targa.
Nonostante queste parole e queste motivazioni, il no della Sala Rossa è arrivato con la scusa che si trattava di una richiesta strumentale, di parte, fatta apposta sotto elezioni. Mentre Gianni Bernabò Brea e Giuseppe Costa, capigruppo di An e Forza Italia, si sgolavano per ribadire che le mozioni e i loro stessi interventi avevano il preciso obiettivo di evitare termini ambigui che potessero provocare reazioni o divisioni politiche. E che il ricordo di «un eroe d’altri tempi, di una figura quasi risorgimentale come Quattrocchi» (Bernabò Brea) non provocasse quelle «divisioni che in consiglio comunale c’erano state recentemente per un altro genovese vittima di un altro contesto» (il riferimento a Giuliani è di Costa).
La Margherita intanto scopriva che la legge prevede di attendere dieci anni dalla morte di una persona prima di dedicargli una strada e che certe decisioni dovrebbero passare dall’apposita commissione toponomastica, ovviamente ignorando tutte le recenti decisioni assunte da palazzo Tursi per tanti altri concittadini morti più recentemente e già inseriti nello stradario cittadino, pur non essendo «eroi» nella stretta accezione rivendicata ancora da Ottavio Cosma. Un distinguo che ha provocato anche la reazione del consigliere azzurro Guido Grillo che non ha risparmiato neppure l’intitolazione di una via all’ex presidente della Sampdoria Paolo Mantovani, rivangando le inchieste giudiziarie che lo avevano visto coinvolto e poi assolto. Il clima propositivo con il quale speravano di essere accolti i consiglieri di opposizione è svanito ben presto. Il comunista italiano Roberto Delogu è arrivato a dire che Quattrocchi «non è un esempio per i giovani», mentre Matteo Rosso (Forza Italia) ha segnalato come in punto di morte abbia trovato il coraggio di rilanciare un valore che dovrebbe essere condiviso da tutti come l’amore per la Patria.
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