Quei laboratori nelle viscere della città

Dentro ce ne saranno dieci, venti o trenta. Il numero esatto non si riesce a capire perché cambia di giorno in giorno e capita che siano anche di più. Di cinesi, uomini e donne che mangiano e dormono nei loro laboratori trasformati in abitazioni. Clandestine. Dove l’unico spiraglio di luce nel migliore dei casi arriva da una finestra sul cortile, con i vetri oscurati da fogli di giornale per nascondere quello che succede all’interno. Dove vivono bambini di cinque, sei, sette anni e forse anche meno costretti in condizioni pietose, in locali senza servizi igienici né acqua corrente. Nel cortile del civico 58 di via Paolo Sarpi, di «laboratori» così ce ne sono due. Uno di fronte all’altro. Due piccole porticine verdi, in legno, che quando rimangono aperte per una disattenzione, rivelano un altro mondo. Fatto di sotterfugi, illegalità, nascondigli. E del rumore delle macchine per cucire che non si ferma mai. È una litania che inizia al mattino e finisce a notte fonda, dalle 8 alle 24, dicono gli abitanti del palazzo. Attraverso la fessura della finestra si intravedono le sagome di uomini e donne che si muovono all’interno del locale. Si siedono su uno sgabello e iniziano a cucire una borsa, quelle già finite sono accatastate lì per terra, in mezzo a rocchetti di filo colorati, scatoloni e cianfrusaglie.
C’è anche un soppalco dove hanno messo i materassi per dormire. Passano pochi minuti e dalla scala scende un cinese, mentre là in mezzo alla stanza e al rumore delle macchine per cucire una ragazza tiene un bimbo fra le braccia e lo allatta. Il primo laboratorio, quello sulla sinistra, è un ex garage. «Lì ci vivono due genitori con tre, quattro figli tutti minorenni - racconta un inquilino del palazzo -. Lavorano lì, fanno da mangiare. Stanno tutto il giorno chiusi là dentro, con la luce accesa e senza aria. Arriva solo dalla porta d’ingresso». Per i servizi igienici, usano le latrine del cortile e prendono l’acqua comune per cucinare. «Noi li vediamo. Li vediamo camminare scalzi e quando stendono gli abiti, dobbiamo fare una gimcana tra i panni stesi». L’altro laboratorio-abitazione invece, era un ex hotel clandestino poi sgomberato. «Ci sono dentro tre famiglie con bambini. Entrambi i locali sono di proprietà di un italiano che li affitta ai cinesi. Qualcuno di loro avrà il permesso di soggiorno perché hanno un regolare contratto come laboratorio, ma non come abitazione. E invece là dentro ci dormono, ci mangiano e ci vivono», racconta un altro inquilino. Tutto questo crea disagio, certo che è così. «Crea disagio vedere i bambini che vanno scalzi nei bagni diventati ormai i loro vespasiani. Crea disordine e sporcizia perché stendono fuori anche le alghe a essiccare. Crea insicurezza perché lasciano aperto il portone. Crea pericolo perché fumano accanto alle bombole a gas».

E pensare che proprio quella palazzina è una delle casa di ringhiera più antiche di Milano.
«Ma nessuno si prende la briga di rimetterla a posto. Dopo quattro anni, il mio appartamento vale un quarto di quello che potrebbe valere».

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