Quei morti ammazzati e le luci in Valle Scrivia

(...) La bellezza delle mille storie di «Cuochi di Salò» raccontate da Francesco De Gregori e di una guerra civile che nasconde anche storie e pagine nobili e altissime. Come se le nostre inchieste e i nostri racconti fossero pagine della storiografia più vera, quella francese delle Annales, di Marc Bloch e di Fernand Braudel, di Lucien Febvre e di Jacques Le Goff, di Henri Pirenne e di Georges Duby.
La storiografia della storia che non è fatta di re e di generali, di principi e di colonnelli, ma di tanti soldati semplici. E, soprattutto, di tutto quello che sta loro attorno: dalla storia sociale dell’agricoltura a quella dell’alimentazione, da quella del costume a quella della cultura. La storia cantata ancora una volta da Francesco De Gregori, ne La storia, appunto: «La storia siamo noi, questo chicco di grano». E la storia de La storia di Elsa Morante, dove i protagonisti non sono quelli dei libri e dei cinegiornali, ma Useppe e la sua mamma.
Ecco, parlare dei morti uccisi solo perchè fascisti, o perchè avevano parenti fascisti, o perchè erano preti, o perchè erano ricchi, o perchè erano borghesi, o perchè erano antipatici ai loro carnefici, significa parlare di quella storia. Della storia di ciascuno di noi.
Racconti, tormentati, umanissimi e bellissimi, come quello che ci ha regalato il tesoriere storico del Pci e poi del Pds e poi dei Ds Renato Penzo - comunista tutto d’un pezzo e, soprattutto, persona perbene - che ci ha raccontato di come Tino Cereseto, orrendamente trucidato solo per aver difeso sua sorella Angelita da un immondo stupro ed aver parlato con un soldato tedesco, gli avesse probabilmente salvato la vita. Fascista uno, comunista l’altro. Uomini, soprattutto.
Uomini come altri uomini, vittime, da una parte e dall’altra, della crudeltà di una guerra civile. Come il papà di Tino e Angelita Cereseto, Lorenzo, barista, che fu prelevato e sparì, insieme a tanti altri, a Bolzaneto, nel deposito Scorza, un vero e proprio mattatoio di vite e verità. Storie raccontate con la dolcezza della penna, con parole bellissime e articoli commoventi da Silvia Pedemonte e Maria Vittoria Cascino su queste pagine. Due donne, non è un caso. Belle ragazze. Belle dentro, intendo.


Qualche giorno fa mi ha chiamato un nostro caro lettore ricordandomi alcune di queste storie di dispersi, regalandomi un’immagine commovente e drammatica: «Una mia fidanzata un giorno mi portò in Valle Scrivia e mi disse: “Sai, amore, se si accendesse un lumino per ogni morto trucidato ingiustamente dopo il 1943 in questa valle, solo per il fatto di essere dalla parte dei vinti, da Ronco Scrivia a Valbrevenna, la valle sarebbe completamente illuminata». Ecco, noi vogliamo essere semplicemente quei lumini.

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