Quei tunnel che minacciano la tregua

Era la cornucopia di Hamas, un corno dell’abbondanza capace di garantire armi, munizioni e soldi al gruppo fondamentalista, cibo, carburante e lavoro a chi ci lavorava, ricchezza a chi ne gestiva i traffici. I circa 500 tunnel scavati alla frontiera tra la Striscia di Gaza e il Sinai egiziano rischiano, però, di chiudere per sempre. Israele li vuole sigillati controllati da una forza internazionale cancellati per sempre. Le gallerie, lunghe dai 200 metri al chilometro, profonde fino a 20 metri e costruite al costo di circa 100 dollari al metro erano condensate nella striscia di 4 chilometri di confine, intorno agli abitati di Tel Zareb, Brazil e al Abur, dove è possibile scavare.
Nelle circa 100 condutture gestite esclusivamente da Hamas sono passati i 160/170 missili Grad di fabbricazione cinese o iraniana contrabbandati dentro la Striscia di Gaza. Assieme ai missili sono transitate tonnellate d’esplosivo, mortai da 120 e 81 millimetri, munizioni, proiettili, razzi anticarro e qualche mitragliatrice anti aerea e schiere di militanti diretti verso i campi d’addestramento in Iran e Libano.
I tunnel di Rafah garantivano anche la sopravvivenza economica di Hamas. Dopo il blocco imposto da Israele il valore delle merci transitate nelle condotte è passato dai 30 milioni di dollari del 2006 ai 650 milioni annui del 2008. Comprendendo l’importanza di quelle «arterie» Hamas ne legalizzò l’uso imponendo ai privati una rigida tassazione. In cambio Hamas garantì allacciamenti elettrici e idrici ai gestori della «rete commerciale» usata per importare dall’Egitto qualsiasi genere di prima necessità dalle auto alla droga, dal cibo, ai frigoriferi al carburante.
La gabella sui tunnel garantiva entrate pari a circa 20 milioni di dollari annui. La merce più contrabbandata dopo le armi era il gasolio. Secondo le stime ogni giorno dai tunnel transitavano 150mila litri di carburante a un prezzo che era circa la metà di quello pagato per i 120mila litri di gasolio quotidiani garantiti da Israele alle centrali elettriche di Gaza.

L’economia dei tunnel e il suo indotto garantivano lavoro a circa 18mila abitanti di Rafah e avevano fatto scendere il livello di disoccupazione della zona dal 50 al 20 per cento. Ciò che arricchiva Rafah depauperava la Striscia. I ricarichi impossibili imposti sulle merci contrabbandate avevano generato il completo impoverimento degli altri abitanti di Gaza.

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