Quel grattacielo italiano rimasto incompiuto a Dubai

Si affaccia sul mare, si chiama "Dolce vita", ma da anni i lavori sono fermi. Sembrava un business: 150 appartamenti già venduti. Peccato che non ci siano

Quel grattacielo italiano rimasto incompiuto a Dubai

Nel fantasmagorico skyline di Dubai, tutto grattacieli arditi e cristalli abbaglianti, spicca al ribasso un mozzicone di tredici piani, mezzo costruito e mezzo abbandonato, a seconda dei punti di vista. Sta lì ormai da cinque anni, posizione di prestigio, direttamente sul mare, ineffabile cantiere-monumento alle illusioni della rapida ricchezza e della rapida disillusione. Si chiama «Dolce Vita», richiamo quasi onomatopeico alle sue suadenti promesse. Oggi però ci vuole del fegato per chiamarlo ancora così: conoscendo la sua storia, è più che altro «Vita d'Inferno».

Tanti soldi e tanta rabbia d'Italia, in questa impresa nella nuova terra promessa. Il grattacielo ha le sue fondamenta vere nei primi anni del nuovo secolo, quando crisi e bolla immobiliare erano vocaboli ancora ostrogoti. In quel tempo felice e spensierato, investire in un grattacielo a Dubai era quasi doveroso. Anche un po' status-symbol. Regime fiscale favorevole, rivalutazioni vertiginose degli investimenti, divertimenti e futuro radioso. Il nuovo mondo con il suo ancestrale richiamo.

Agli inizi del 2007, un gruppo di otto amici italiani riceve l'offerta di comprarsi un grattacielo di prossima costruzione. Certo, il «Dolce vita». In tutto 27 piani, con 286 appartamenti e 13 negozi, più o meno 60 milioni il valore dell'opera. Il costruttore è del posto, il governo stende tutte le passatoie: le porte sono sempre spalancate per chi voglia contribuire con i suoi mattoni (e i suoi euro) al boom. Gli italiani si guardano negli occhi e decidono di lanciarsi. Tra di loro Antonio Conte e il suo inseparabile fratello Daniele. Viene formata una società, la «Dubai Business». Questa società affida poi la vendita delle singole abitazioni alla Ellebiemme di Treviglio (Bergamo), marchio di uno stesso socio della «Dubai Business», quel Luca Mulino che nel 2005 aveva già gestito la vendita di un altro grattacielo, il prestigioso «Mag 218», 60 piani a bucare le nuvole. L'operazione viene varata: 2,5 milioni di acconti per l'avvio dei lavori e impegno tassativo a consegnare le chiavi per la fine del 2009.

Sembra veramente tutto a posto. Mentre partono le prime ruspe, gli appartamenti vanno via come il pane. Poche settimane e Mulino ne vende 150 in giro per l'Italia. Il singolo acquirente versa l'acconto e poi paga rateizzando, a mano a mano che la costruzione sale. Con un vantaggio concesso da Dubai: il rogito è immediato, cioè la proprietà è totale da subito. Sembra veramente l'investimento perfetto. L'investimento da sogno. Pochi infatti comprano per andarci. A fare gola è soprattutto il rendimento: il valore immobiliare, in quella stagione felice, si moltiplica di mese in mese, potremmo dire di ora in ora, di minuto in minuto. Le precedenti esperienze, degli altri grattacieli, sono lì a confermarlo, con i loro numeri da bava alla bocca. La leggenda di Dubai non delude mai.

Purtroppo, in tutte le belle leggende prima o poi arriva l'accidente che si mette di traverso. In questo caso, sono due. Il primo affiora subito, quando il costruttore si accorge di dover rifare la palificazione sulla quale sorgerà il grattacielo: piantati i 360 pali previsti a 16 metri di profondità, le verifiche dimostrano che la costruzione non starebbe in piedi. Ferma tutto e ricomincia da capo: si scende fino a 32 metri. L'intoppo occupa di fatto tutto il 2008, facendo perdere parecchio tempo e parecchi soldi al costruttore. Poi arriva la seconda mazzata, che tutti conosciamo bene: si chiama crisi mondiale. Fine della favola: nell'ottobre 2009, a due mesi dalla consegna del «Dolce Vita» chiavi in mano, con 25 milioni già versati dai compratori, del «Dolce Vita» non c'è nemmeno il primo piano. Peggio. Siccome le sciagure non arrivano mai sole, non c'è più nemmeno il costruttore: fuggito, scomparso nel nulla, senza lasciare traccia.

Da quel giorno, la bella illusione del «Dolce Vita» diventa una maledetta faccenda legale e un avvelenato intrigo internazionale. Avrei bisogno di volumi interi per descrivere fatti e personaggi che si susseguono nella vicenda, col cantiere a passare di mano in mano, fino a un'altra società con radici italiani, del modenese, la stessa fra parentesi sempre in attesa di costruire la famosa «Pavarotti Tower». Mi limito al nocciolo della questione: attualmente il «Dolce Vita» ha soli 13 piani. Ne mancano ancora 14, ma i lavori sono fermi da molto tempo. Il mozzicone aspetta di entrare nello sky-line di Dubai con piena dignità, ma cinque anni dopo nessuno sa dire quando davvero ci arriverà.

Nel frattempo, è umano, l'estenuente attesa e le allarmanti inchieste giornalistiche seminano il panico tra gli acquirenti. Chi ha versato 100mila, chi 200mila, chi 250 mila euro. Tutti regolarmente proprietari di un appartemento che esiste solo sulla carta. Alcuni, esasperati, passano alle vie legali, denunciando per truffa l'agente immobiliare che li ha portati all'affare, Luca Mulino. Per lui è una colossale Waterloo. Cornuto e mazziato, direbbe Totò. Si sorbisce cinque processi, ma contemporaneamente è a sua volta titolare (come socio della «Dubai Business») di oltre cento appartamenti ancora inesistenti. «In poco tempo ci ho rimesso un sacco di soldi - racconta adesso, con le “Iene” sottocasa -, ma soprattutto ci ho rimesso la reputazione. I nostri clienti hanno mille ragioni, ma io sono dalla stessa loro parte, dalla parte dei danneggiati». Mostra le sentenze del Tribunale di Bergamo che lo assolvono ogni volta «perché il fatto non sussiste». E' un uomo d'affari frastornato. È un uomo avvilito.

Oggettivamente, questa non è la solita truffa all'italiana, con un truffatore che vende case inesistenti, raccoglie i soldi dai clienti babbei e poi sparisce con la segretaria a Santo Domingo. Qui il grattacielo c'è, anche se solo a metà. Le proprietà delle case ci sono, come da rogiti notarili. E c'è pure l'agente immobiliare, che non si è dato a precipitosa fuga, ma continua la battaglia per portare al tetto l'interminabile sfida. Eppure sono tutti inferociti.

Adesso il giallo è nelle mani del governo di Dubai. In prossimità dell'Expo 2020, certo non permetterà che il suo faraonico paradiso si mostri al mondo con un mozzicone a mezz'aria. È verosimile che affidi la fine dei lavori a qualche costruttore di fiducia. Presto o tardi, i legittimi proprietari riceveranno materialmente le loro case. Basta un anno di lavoro, non di più. Ma al momento la tremenda partita a scacchi è ferma, in attesa di decisioni dall'alto. C'è però una morale, neanche tanto nuova.

Quando l'odissea sarà terminata, godendosi il panorama dalle vetrate del loro bilocale, tanti italiani manderanno a memoria una vecchia regola economica, troppe volte ignorata: ogni investimento, anche il più luccicante, si porta dietro un rischio. Chi non risica non rosica, diciamo noi ottimisti. Ma alle volte chi risica ci lascia la zampa, e non è più «Dolce Vita».

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