on questo spirito Caravaggio affronta subito la seconda grande impresa romana, le Storie dei santi Pietro e Paolo, per la cappella Cerasi in Santa Maria del Popolo. Compiute fra il 1599 e il 1600 le due tele di San Luigi dei Francesi, come hanno rivelato i documenti, il Caravaggio non ha un attimo di respiro: ma la sua maturazione è così veloce, le sue contraddizioni così limpidamente risolte che il Longhi ha potuto ritenere le sue opere distanti fra loro sette o otto anni. In effetti la sintesi delle nuove tele con la Conversione di san Paolo e il Martirio di san Pietro rispecchia risultati assai più avanzati di quelli appena raggiunti.
Qui addirittura il Caravaggio può rinunciare all'adattamento dell'episodio ai costumi e ai tempi moderni. Nel San Paolo sembra superfluo sottolineare l'inversione spaziale del punto di vista, che, riducendo il santo a terra con le braccia levate, impone all'attenzione il grande corpo del cavallo, senza che per un attimo la tensione religiosa si allenti in qualche compiacimento da scena di genere, alla Jacopo Bassano. La presenza dell'animale non attenua la certezza del miracolo, ma anzi la esalta, facendolo accadere nella flagranza della caduta: la caduta stessa è il miracolo. Chi stava in alto è ora a terra, la superbia è stata umiliata e l'uomo è in balia dell'animale, che potrebbe d'improvviso schiacciarlo sotto gli zoccoli. Ma questa stessa umiliazione è l'inizio della redenzione.
Lo stesso può dirsi per il Martirio di san Pietro: niente di più forte e di più terrestre dei corpi grevi, animaleschi, sporchi, dei carnefici. La loro energia brutale travolge ogni umana identità e il solo del quale si vede il volto mostra una maschera dalle rughe incise sulla pelle spessa con capelli corti e fittissimi. Questo è un vero martirio: sentiamo il peso del legno della croce, leggiamo il dolore nel volto di Pietro, e anche qui tutto accade in un attimo, non c'è tempo da perdere. Straordinari monumenti dell'azione, questi due dipinti sembrano una dichiarazione di guerra contro l'Annibale Carracci cui è affidata l'Assunta per l'altare maggiore della stessa cappella, la visione di un altro mondo senza tempo, mentre quello del Caravaggio è insieme del suo tempo e di tutti i tempi, oscura allegoria della violenza. Per mostrare quanto radicale fosse il dissidio, Caravaggio aveva addirittura dato una seconda versione più estremistica probabilmente di entrambi i dipinti, che erano stati richiesti su tavola, e certamente di uno, la Conversione di san Paolo, la cui primitiva versione è conservata nella collezione Odescalchi, macchina meravigliosa e complicata, dove l'azione si moltiplica in tanti episodi, con una concezione dello spazio ancora manieristica. Si ha ragione di stupirsi che le due edizioni finali dei dipinti siano state accettate senza discussione e censure, quelle stesse cui il Caravaggio aveva dovuto sottostare per il suo San Matteo e l'angelo. Ma qui la forza degli avvenimenti è tradotta in termini così essenziali che sembra di assistervi direttamente, come se non potessero essere altro che accaduti in quel modo.
Credo che questa sensazione dovesse anche trasmettersi al committente, monsignor Tiberio Cerasi, come l'accettazione di qualcosa di ineluttabile. Come afferma il Longhi, nella Crocifissione «le cose accadono con un'evidenza incolpevole, dove ognuno attende all'opera sua». In modo più tragico questo spirito ritorna nel Seppellimento di Santa Lucia, dove ritroviamo i due impressionanti bruti che scavano la fossa davanti ai pietosi devoti.
L'episodio è ambientato nella latomia di Siracusa che Caravaggio visitò in compagnia dell'erudito Vincenzo Mireabella, che lo guidò nella grotta detta Orecchio di Dioniso.
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