Quel no al patto firmato da sei nazioni

È il 30 maggio scorso quando Fabio Mussi fa scoppiare la «bomba» staminali. Da Bruxelles dove si trova per partecipare a un consiglio Ue sulla competitività insieme con la collega Emma Bonino, il titolare dell'Università e della ricerca annuncia il dietrofront dell’Italia in tema di ricerca sulle cellule staminali embrionali. In particolare il ministro diessino fa sapere che verrà ritirata la nostra adesione, decisa il 29 novembre scorso dal governo Berlusconi, alla «Dichiarazione etica» con cui cinque Stati Ue (Austria, Germania, Polonia, Slovacchia, Malta) avevano espresso una posizione contraria alla ricerca sulle cellule staminali embrionali. Una decisione, spiega Mussi, che segna una «correzione» soprattutto su due punti: «il rispetto delle legislazioni» degli altri Paesi Ue; la scelta di «cogliere l'opportunità per un uso controllato delle staminali ai fini della ricerca», evitando che l'Italia abbia «una posizione di chiusura totale alla sperimentazione». Immediate le reazioni. Si va dal plauso di alcuni scienziati, con in testa Umberto Veronesi, alle molte critiche che piovono da parte di Forza Italia, Alleanza nazionale e Udc.

Il sospetto, avanzato da più parti, è che si tratti del primo passo verso una revisione della legge 40 che regola la materia e che è stata confermata anche da un referendum popolare. Mussi smentisce ma l’opposizione, e anche alcuni esponenti dell’Unione, restano sul piede di guerra.

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