Quel volto ferito a Natale così umano e poco politico

LEADERSHIP La ragione del suo consenso sta nel coraggio con cui non è scappato subito

Porterò negli occhi di Natale l’immagine ferita di Silvio Berlusconi. Ieri è tornato a casa, cioè a se stesso pubblico e privato, è tornato presidente, al riparo dalle intemperie della vita; ma in quel volto lacerato c’era la verità di un uomo, la sua grandezza e la sua miseria offerta allo sguardo del mondo senza barriere e rivestimenti. Non riesco a dimenticare quell’immagine ossessivamente ripetuta in video e sui giornali, si è fissata nella retina emotiva perché urta col Natale, col potere e con la finzione mediatica. Stride la nudità del suo volto lacerato con la maschera di bontà e consumi che riveste l’aria natalizia e riempie la sua atmosfera edulcorata di bambagia e auguri delle feste. Ma stride anche con l’immagine del Potente, del Monarca, del Videarca, del Magnate, quel viso stravolto dal sangue e dal dolore, attraversato da uno sgomento e da un’inerme esposizione alla vista degli astanti e delle telecamere.
Si scontra quel dolore sfacciato con i sorrisi abituali del suo comunicare, i trucchi e gli artifici per combattere l’età, dissimulare gli anni, arginare i limiti della condizione umana che avanzano sulle zampe della vecchiaia, della malattia e dello stress da caccia all’uomo. Era lì, Berlusconi, vero e totalmente umano, vulnerato perché vulnerabile, come ciascuno di noi, non protetto da alcuna rete, a viso scoperto e deturpato. Il Re è nudo; no, di più, è violato.
A vederlo così, quel viso rotto, mi ha ricordato la statuina di uno dei Re Magi nel presepe dell’infanzia, che si era rotta in viso e aveva perso la regalità del suo portamento perché fuorusciva dalla mandibola scheggiata il ferro dell’impalcatura che sosteneva la sua creta. La magia del personaggio cedeva al lavoro dell’artigiano, la sontuosità dei suoi paramenti spariva davanti a quella breccia di verità che si era aperta nel suo volto. La verità di un volto ferito dal kitsch di una statuina del Duomo squarcia il velo dell’ipocrisia e sanguina di umanità. Si concentra in quello sguardo sbigottito la traccia di un’infanzia spericolata che si sorprende a vedere i segni della trasformazione del gioco in violenza; ma anche l’età grave di un uomo che si lifta e si trapianta, s’inceronisce e si mostra ridente, ma non può sfuggire alla natura. Ma colpisce la fierezza del suo esporsi, il gesto orgoglioso di sollevarsi dalla folla, arrampicandosi sull’auto; di vedere, di capire, di padroneggiare la situazione e insieme di offrirsi al rischio, all’odio e all’affetto del suo popolo.
Si possono costruire teorie sofisticate e analisi complesse sul leader Berlusconi ma il succo della sua differenza, il primeggiare della sua leadership è in quel gesto elementare: chiunque vive tutelato nella rete del potere avrebbe istintivamente cercato riparo in auto, avrebbe preteso di allontanarsi dal luogo del misfatto, per recuperare il suo status d’inviolabile, sarebbe tornato precipitosamente all’impenetrabile sicurezza del Palazzo. Berlusconi invece ha tentato ancora con uno scatto di fierezza ferina di guardare in faccia la folla e l’aggressore, il bene e il male che si accalcavano intorno a lui, di uscire a testa alta dalla ressa, senza distogliere lo sguardo dall’orrore che esprimeva. L’ho ammirato anch’io, come la Guzzanti, come tanti, in quel momento. È in quei frangenti che si vede un uomo, la sua autenticità e la sua vera statura. E si rivela anche il suo legame non superficiale ma viscerale con il suo popolo, il bagno di folla, l’ossessione di piacere, di non cercare il potere per distinguersi e separarsi dalla gente ma al contrario: volere il potere per vivere e farsi vivere dalla gente, essere in mezzo a loro, nutrire e nutrirsi di loro. Ma in quel momento emergeva l’altro volto della popolarità, l’odio feroce, il rovescio del mito nell’invidia del mitomane. Nel demos si annida anche il demoniacus; ma Berlusconi confida nel consenso come nell’audience, vox populi è vox dei, la popolarità è la misura e lo scopo del suo agire. Insieme ricordo gli occhi invasati del suo aggressore nel momento in cui passa da folla a uno, da nessuno a qualcuno, da ombra anonima a icona del male, e conserva nello sguardo sbigottito e folle la memoria del crimine compiuto. Il suo sguardo spiritato avverte il rischio di passare da carnefice a vittima, dopo aver compiuto il suo feroce rito sacrificale.
Non ricordo immagini di potere sanguinante che si divincola da protettori e soccorritori e cerca ancora la piazza che lo ha ferito. Ricordo corpi inermi e senza vita in un bagagliaio o appesi nella macelleria di piazzale Loreto, ricordo leader feriti da attentati e presto ricoverati; non riesco a immaginare Agnelli, Cuccia o De Gasperi tra la folla, sanguinanti e tumefatti. Ricordo contestazioni, monetine, o al più la beffa di due orecchie tirate a un leader; o il malessere di un leader in un comizio. Berlusconi parla molto con il corpo, è un leader carnale; ricordo anche un libro incentrato sul suo corpo e una foto finale atroce che voleva tumularlo dal vivo, una specie di anteprima d’obitorio.
Il suo sguardo ferito ha parlato, in corpore vili. Il volto sconvolto di un uomo è ciò che più rivela l’umanità di una persona ma anche ciò che più si allontana dalla condizione umana perché svela la sua animalità e insieme la sua anima, ovvero ciò che sta sotto e ciò che sta sopra la sua umanità.

Un uomo ferito è come un animale, ridotto alla sua biologia, al sangue, ai denti, al naso; ma è anche un libro svelato, come le statuine dei sileni di cui parlava Platone, che nascondevano dentro il loro corpo simulacri degli dei. Non mi interessa in questo momento dir nulla di politico e di polemico; mi interessa la verità di una persona svelata dalla follia di un gesto, mentre fuori è già Natale.

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