Forse l’immagine che meglio sdrammatizza questo mondo di catastrofisti in limousine è quella che abbiamo rubato (e ce ne scusiamo anticipatamente) a Sergio Marchionne, il numero uno della Fiat. Che di catastrofi se ne intende davvero: quando prese il gruppo automobilistico nel 2004 era sull’orlo del precipizio, con una famiglia decimata dai lutti e lo scetticismo che lo circondava.
«Ho l’impressione - confidava il numero uno della Fiat ad un ristretto gruppo di collaboratori - che i banchieri siano come Fonzie. Sì, quello di Happy days che si sforza senza successo di dire la parola “scusa”. Ma proprio non ci riesce. Ebbene, i banchieri non riescono a dire la parola “perdita”. Ciò che per noi industriali fa parte della vita, del business, insomma può accadere, per un banchiere è impossibile, inimmaginabile».
Ecco. Il mondo che va solo in una direzione. Sempre e solo più su, senza pause. Per carità non scambiateci per i «declinisti ontologici», per coloro che predicono un futuro a passo di gambero, che credono in una crescita negativa (ma come diavolo potrà mai una crescita essere negativa?), per i teorici della morte del Pil (quel numeretto il cui vigore freudianamente sembra dettarci l’umore quotidiano).
Siamo, al contrario, degli ottimisti, per taluni talmente allocchi da confidare nella mano invisibile di Smith: sentiamo il progresso come condizione della vita. Anzi, non possiamo immaginare un mondo senza sviluppo. Ma, e qui sta il punto di Marchionne, non siamo neanche tra coloro che si sono dimenticati che l’economia e la finanza sono l’intreccio delle decisioni, delle passioni e degli interessi di miliardi di individui, e come tali possono subire delle pause.
Scusateci per la banalità di uno slogan che per la sua aridità fa venire i brividi a chi lo pronuncia, ma tocca ricordarlo: i cicli economici esistono. L’economia ha momenti di crescita e discese. Un raffreddore dell’economia si cura, magari con l’aspirina, talvolta con un antibiotico, ma si cura. La disposizione psicologica per cui un malato immagina e predice la propria malattia come terminale, aiuta a renderla tale. O, più modestamente, non contribuisce a guarirla.
Ecco perché Marchionne ci piace: un «venditore di auto» sa che prima o poi dovrà affrontare un calo o una stagnazione dei consumi.
E si attrezza. Un «venditore di quattrini» invece pensa che il suo business sia destinato sempre e comunque al successo. E quando i risultati non arrivano entra in panico. Il declinismo, il pessimismo diventa così la sublimazione della finanza, utilizza i suoi schemi mentali, le sue presunzioni onnipotenti.
E quando il mercato gira, diventa apodittico. Il pessimista cerca, senza prove, ma con molte suggestioni, di allargare al sistema, al mondo, alla storia, alle circostanze le ragioni del proprio personalissimo insuccesso.http://blog.ilgiornale.it/porro
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