Quella Napoli che brucia è un monumento al degrado

Allo scopo di sensibilizzare l’umanità sull’importanza del patrimonio storico-artistico del pianeta, lo svizzero Bernard Webber ha lanciato nel 2001 un’iniziativa molto interessante: individuare le nuove sette meraviglie del mondo. Da allora sono stati raccolti (attraverso internet) oltre 28 milioni di voti e altri milioni si raccoglieranno fino al 7 luglio, data della proclamazione dei «vincitori». Per il momento le meraviglie più gettonate sono l’Acropoli di Atene, la piramide di Chichen Itza (Messico), il Colosseo, la Tour Eiffel, la Grande Muraglia cinese, le rovine inca di Machu Picchu, Petra (la città scavata nella roccia, in Giordania), le statue dell’isola di Pasqua, i blocchi di pietra di Stonehenge, il mausoleo di Taj Mahal (India).
Opere d’arte e siti archeologici straordinari, senza dubbio. Ma c’è una dimenticanza gravissima: la Monnezza di Napoli.
La Monnezza di Napoli è la Meraviglia delle Meraviglie, la Stupefazione, lo Sbalordimento dei tempi nostri, la Visione giovannea (perché apocalittica) capace di superare le meraviglie del mondo antico, e anzi di accorparle. La Monnezza di Napoli è la Piramide di Cheope, e come tale si mostra al mondo come una delle più grandi opere realizzate dall'uomo. S’innalza verso il cielo ad altezze vertiginose, ma tutte le sue misure destano impressione. Consiste di milioni di sacchetti a perdere, dai quali scorrono fiumi di liquidi nerastri, matasse di spaghetti con sugo rosso raffreddato, resti di verdure, ossi di macellerie, visceri densi e rossastri di cani, gatti e topi schiattati; un’ecatombe di rifiuti liquidi e solidi, pneumatici, mobili vecchi, sedie, ombrelli; e siringhe, sacche di sangue, urina e flebo, provenienti dai vicini ospedali. Un Sogno dantesco o vittorughiano. Questa piramide di rifiuti è tutt’altro che una tomba di re. La vita vi pullula, eccome. Sono pantegane grosse come conigli e dalle zanne affilate di tigri; sono scarafaggi, vespe, mosche, colombi e perfino gabbiani, che a colpi di becco e di artigli si contendono il cibo in putrefazione.
La Monnezza di Napoli è il Faro di Alessandria. Inaugurato sotto la Dinastia Bassolino, è simbolo dell’inettitudine governativa. I naviganti lo vedono anche durante le tempeste: le fiamme che si sprigionano dai roghi (velenosi) appiccati dalla gente che non ne può più, si alzano alte sull’orizzonte, fumi densi e neri indicano la via.
La Monnezza di Napoli è il Colosso di Rodi. Kolossos, in lingua greca, vuol dire «camorra» ma anche «coloro che dovrebbero rassegnare le dimissioni». Posta non solo all’ingresso del porto, ma in ogni via, piazza o vicolo della città, la Monnezza assume certe volte una forma bizzarra: quella di un uomo che regge con una mano una falce e un martello, e con l’altra un portafoglio (tra stipendi, affitti e consulenze, sono stati bruciati, per l’emergenza rifiuti, due miliardi di euro). La Monnezza di Napoli sono i Giardini Pensili di Babilonia. Solo che in luogo dei profumi, ci sono puzze, fetori e tanfi da schiantare gli elefanti di Annibale. La Monnezza di Napoli è infine il Mausoleo di Alicarnasso e la Statua di Zeus, ma anche la Torre di Babele, l’Empire State Building e la vetta del K2.


La Monnezza di Napoli è, soprattutto, il monumento allo Scandalo, lo Scandalo di una città abbandonata a sé stessa. Maledetta camorra, hai fatto della città più bella del mondo una cloaca; e voi, sindaco e governatore, meritereste l’esilio: un monolocale con vista Geenna, il biblico inceneritore di Gerusalemme.
mardorta@libero.it

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