Quella sporca lotta al terrore che ci protegge da Al Qaida

I tagliagole della guerra santa a oltranza provano di nuovo a farci saltare in aria, ma lo scudo dell’antiterrorismo internazionale tiene, almeno per ora. Nell’ultimo anno i complotti del terrore contro l’Occidente si sono ripetuti, ma hanno fatto sempre cilecca o sono stati sventati ancora prima di scattare. Il Natale scorso, Faruk Abdulmutallab, un ragazzo nigeriano di buona famiglia, si è fatto abbindolare da Anwar Al Awlaki, sirena di Al Qaida con passaporto americano annidata nello Yemen. L’aspirante suicida aveva dell’esplosivo nelle mutande, che non ha funzionato. In maggio il pachistano Faisal Shahzad, accolto negli Stati Uniti, voleva far saltare in aria una macchina minata a Times square, la piazza più famosa di New York. Non ha avuto successo. Il terrorista ha ammesso di essere stato ispirato da Al Awlaki.
L’imperizia o sfortuna dell’ultima generazione di terroristi non significa che il rischio vada preso sottogamba. Lo dimostra l’ultimo complotto con i pacchi bomba sventato grazie a un’informativa dei servizi segreti sauditi. Notizie precise sul mittente dell’operazione, i corrieri internazionali e i voli cargo utilizzati, che possono saltar fuori soltanto con l’infiltrazione della rete di Al Qaida nello Yemen. Gli americani hanno pensato al resto e due pacchi bomba sono stati individuati prima che facessero saltare in aria aerei.
Il terrore per posta è stato utilizzato per primo da Ted Kaczynski, il leggendario Unabomber americano, che mandava in giro lettere minate. Non a caso il sistema, semplice ed efficace, è stato replicato da Al Qaida. Al Awlaki è attorniato da altri terroristi con passaporto americano votati alla guerra santa internazionale. Sembra che siano decine, come gli europei islamici irretiti da Al Qaida nelle zone tribali al confine fra il Pakistan e l’Afghanistan e quelli arruolati dai talebani somali. «Occidentali» che conoscono bene il nostro mondo. E ancora meglio conoscono i varchi per infilare un kamikaze o un pacco bomba verso gli Stati Uniti o l’Europa. Gli aerei cargo sono controllati molto meno rispetto a quelli passeggeri e in ogni caso sarebbe impossibile ispezionare minuziosamente tutte le merci che viaggiano con i corrieri internazionali. Scattato l’allarme, l’antiterrorismo ha reagito velocemente e a colpo sicuro bloccando le bombe camuffate.
Gran parte della partita mortale si gioca sulla prevenzione, che spesso fa arricciare il naso ai benpensanti. Questo mese un numero record di incursioni dei velivoli killer americani, senza pilota, nelle aree tribali pachistane, ha sventato un probabile complotto per colpire l’Europa. Prima che un gruppetto di tedeschi e inglesi votati ad Al Qaida riuscisse a mettere in atto il piano, i capi banda sono stati eliminati con i raid dal cielo. Nello Yemen, è una tattica utilizzata dallo scorso dicembre, ma non basta. Per questo motivo gli Stati Uniti hanno deciso di investire 1,2 miliardi di dollari nei prossimi sei anni per addestrare e fornire equipaggiamento militare sofisticato alle forze di sicurezza locali.
Sul terreno operano le squadre paramilitari della Cia che individuano gli obiettivi. Il presidente democratico americano, Barack Obama, ha firmato un ordine esecutivo per uccidere Al Awlaki. Non sono mancati i soliti difensori dei diritti umani, che si appellano alla magistratura americana e alle Corti dei miracoli delle Nazioni Unite per far condannare e cambiare idea alla Casa Bianca.
Soprattutto nello Yemen, ma pure in Afghanistan e Pakistan i nuovi colonnelli del terrore, che le provano tutte per farci saltare in aria, sono spesso ex prigionieri del carcere di Guantanamo. Alla faccia della tanta auspicata chiusura della prigione per terroristi, qualcuno è riuscito a farsi liberare spacciandosi per un pentito.

Una volta tornati nel loro ambiente, gli ex detenuti hanno riabbracciato la guerra santa e non molleranno. Per fortuna lo scudo dell’antiterrorismo regge, almeno fino a quando i nuovi adepti di Osama bin Laden non troveranno la lancia giusta per sfondarlo.
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