Quelle «Scene da un matrimonio» fuori del tempo

Sono passati quasi quarant’anni dall’apparizione sugli schermi di Scene da un matrimonio, il capolavoro misconosciuto del signor Ingmar Bergman, all’epoca sottoposto dai più a un giudizio severo quanto immotivato. Dato che gli ammiratori del grande regista, abituati al suo eterno scontro col divino in un mondo esente dal confronto col sacro, si aspettavano dall’analisi impietosa del rapporto coniugale una conclusione sotto il segno della tregua se non della speranza. Mentre Johan e Marianne si illudono di risolvere i problemi di fondo di una lunga convivenza cercando, dopo la separazione, altri amori per concludere la reciproca parabola in un rapporto paritario di amanti senza per questo allontanarsi dai nuovi legami coniugali contratti dopo il divorzio.
Un exitus amaro sotto il segno del paradosso che, al di là dell’opera cinematografica, ha trovato felice sbocco nell’adattamento teatrale da noi inaugurato a suo tempo da un’altra coppia in fase di distacco come il duo Guerritore-Lavia. Mentre Alessandro D’Alatri, regista di questo nuovo allestimento che si ispira nel razionalismo raggelante ed asettico della scena di Matteo Soltanto a un universo senza tempo dominato dallo spazio vuoto in cui i corpi dei protagonisti si inseriscono come ombre cinesi, esalta al di là della passione ormai estinta tra i due contraenti il sottile rapporto di reciproca dipendenza che li spinge a misurarsi nell’atroce conflitto che li rende succubi.


Una prova di grande intelligenza animata dalla grazia ipocrita e suadente di Federica Di Martino e dall’impeto nevrotico di Daniele Pecci.

SCENE DA UN MATRIMONIO - di Ingmar Bergman. Regia di Alessandro D’Alatri con Daniele Pecci e Federica Di Martino. Roma, Teatro India fino al 12 febbraio, poi in tournée.

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