Politica

La Quercia perde i pezzi Sette dirigenti romani stracciano la tessera

L’accusa: «I Ds non sanno parlare a sindacati e movimenti»

Massimo Malpica

da Roma

Toni ultimativi, azioni eloquenti e accuse esplicite alla «deriva moderata» del proprio partito, troppo contaminato dalle frenesie unioniste e prossimo a sciogliersi con la Margherita. E proprio in seguito all’annuncio della fusione dei gruppi consiliari capitolini di Ds e Margherita, un pezzo della Quercia romana fa le valigie e trasloca un po’ più a sinistra. Dopo i venti di crisi sollevati da Rifondazione a proposito della bozza di legge regionale sull’urbanistica della Giunta Marrazzo, le divisioni tra l’anima moderata e quella radicale dell’Unione nel Lazio vivono un nuovo capitolo.
Gli esuli sono sette, tutti del correntone diesse, tutti pronti a calcare le orme tracciate lo scorso aprile da Pietro Folena, confluito come indipendente nel partito di Bertinotti. A guidare i transfughi romani c’è Pino Galeota, consigliere comunale e componente del direttivo della Federazione romana dei Ds, accompagnato nell’adesione a «Sinistra Europea» e nell’avvicinamento alle posizioni del Prc come forza politica di riferimento, da Alessandro Cardulli, presidente della direzione regionale dei diesse laziali, e da altri dirigenti della federazione romana: Alessandro Bongarzone, Elena Canali, Mario De Carolis, Paolo Petri ed Enrico Belardinucci.
Per i sette, strappare la tessera della Quercia «è stata una scelta di sinistra presa singolarmente». Ma alla decisione sono arrivati tutti a causa della «valutazione fortemente critica sulle scelte compiute dal partito in questi anni». La goccia che ha fatto traboccare il vaso, e scattare le dimissioni, è stata appunto quella di «aprire un percorso per dar vita a un non meglio identificato partito democratico». «A Roma - spiega Alessandro Cardulli - è stato deciso, senza alcun dibattito nel partito, di presentare al Comune e nei municipi liste uniche Ds-Margherita, e di costituire gruppi unici». Una scelta non partecipata e dagli effetti devastanti, secondo i sette ex diessini: «Si mette in soffitta una parte di storia politica e culturale della città, una parte importante che ha espresso grandi sindaci da Petroselli ad Argan a Vetere», insiste Cardulli, che nell’elenco degli amministratori a targa diesse ci mette anche l’attuale primo cittadino. «Anche se - ironizza Cardulli - Veltroni dichiara di non essere mai stato comunista. Ma è stato uno dei protagonisti della vita della Federazione comunista romana, dove ha iniziato la sua attività politica».
Gli «esuli» si ritroveranno lunedì in assemblea a Roma, al teatro Colosseo, con Bertinotti e Folena e sotto le insegne del movimento «Sinistra Romana», per «operare per la costruzione di un nuovo soggetto politico della sinistra», scrivono in una nota. Un soggetto che deve ricercare «nuovi rapporti fra le diverse sinistre presenti nel nostro Paese e stabilire collegamenti con il nuovo che è emerso in questi anni, il sindacato, i movimenti, le associazioni». Quello che i Ds, accusano i sette, non hanno saputo fare. Il partito di Fassino per Galeota e gli altri dirigenti «si è chiuso sempre più in se stesso proprio quando occorreva aprire un grande dibattito e far partecipare gli iscritti», e «la stessa sinistra interna al partito ha perso capacità di critica, di intervento e di iniziativa». Così, di fronte al «disagio e al malcontento» per una situazione «inaccettabile», i sette lasciano il partito: «I nostri percorsi sono diventati ormai troppo distanti». C’è da «dar vita a un soggetto politico della sinistra alternativa», che - manco a dirlo - dovrà essere «forte e unitario».

Così invocando l’unità, e «senza alcuna velleità scissionistica», nell’Unione dalle troppe anime ci si continua a dividere.

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