Questa scuola italiana è da «Cinque in condotta»

«Il mondo è come una scuola impazzita». Se partiamo da questa metafora dello scrittore irlandese William Trevor non è strano pensare che la professione di insegnante e quella di giornalista abbiano qualche tratto in comune. Entrambi devono organizzare i fatti e la cultura - che è una particolare e sempre nuova relazione tra i fatti - e poi trasmettere il risultato di questa organizzazione. Tale attività ha inevitabilmente un suo peso morale e sociale. Ma se un giornalista sbaglia, il lettore può disdire l’abbonamento; se sbaglia un professore, invece - e magari continua a sbagliare - sarà difficile che l’alunno se ne accorga, se non a disastro (quasi) compiuto. E se nel frattempo se ne accorge qualcun altro - magari il preside o i genitori - in Italia rimane molto difficile intervenire.
Come per irresistibile osmosi tra professioni, dunque, il nostro direttore Mario Giordano ha cacciato il naso nel mondo della scuola e il risultato è stato questo: la carta stampata sarà pure in crisi, i giornalisti saranno pure (qualcuno) dei passacarte, ma la scuola italiana cade letteralmente a pezzi. Tale rovina Giordano l’ha puntigliosamente documentata in Cinque in condotta. Tutto quello che bisogna sapere sul disastro della scuola italiana (Mondadori, pagg. 218, euro 18), che presenterà oggi alle 18.30 alla libreria Mondadori Duomo, con interventi di Fedele Confalonieri e del ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini.
Se Cinque in condotta ha il tono urgente di un pamphlet è a causa dei dati catastrofici che ritroviamo in ogni sua pagina. La scuola italiana ha 9,1 insegnanti ogni 100 studenti, contro una media Ocse di 7,5 e si configura come una scuola fatta più di professori che di alunni. Nonostante questo profluvio di maestri (malpagati sì, ma anche intoccabili), nessun studente italiano dal 1992 al 2005 ha ottenuto risultati nelle gare internazionali tra scolari «cervelloni». Forse erano tutti impegnati in quei corsi assurdi dove invece di Storia e Matematica si studia tiro con l’arco, benessere psicofisico, filatelia: vero e proprio business fatto di consulenti esterni, peraltro in una scuola che non ha i soldi per pagare i supplenti.


Ma ci sono aspetti peggiori: 20mila edifici scolastici su 42mila sono a rischio; possono servire 574 telefonate per trovare un supplente; meno della metà dei docenti (il 42 per cento) ha a disposizione un laboratorio. Difficile in tutto questo poter dire se gli alunni hanno ancora gli occhi aperti oppure si sono addormentati, incapaci persino di bigiare.

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