«Questo mestiere è un lusso, nessuno ci aiuta»

La cittadella del cotto è una piccola impresa artigiana che funziona soltanto con sette dipendenti senza alcuna sovvenzione pubblica. «Il cotto lombardo, a differenza di quello toscano, non è considerato un prodotto nazionale, non è un fiore all’occhiello per la regione» ammettono i proprietari Daria e Alberto Curti. Sono loro gli ultimi rampolli di una famiglia che nel 1420 ha ricevuto la prima commissione dagli Sforza. E, a giudicare dai risultati, non ne hanno tradito la vocazione. Anzi.
Non è stato facile...
«Tutt’altro. Produrre artigianalmente è difficile nel nostro Paese, la manualità ha un costo proibitivo».
Qual è il segreto?
«La passione non basta. Anche se ha un grande potere: grazie alla cura dei dettagli e all’impegno continuo il posto è diventato quello che è. Noi viviamo qui e non andiamo mai in vacanza. Ma per sopravvivere economicamente abbiamo adottato una strategia».
Quale?
«Quella di affittare i piani alti della fornace a una ventina di artisti. Lo spazio riservato alla produzione con gli anni si è ridotto. Ora ci lavorano ceramisti, pittori, scultori, poeti e fotografi, qualcuno è anche professore. Sono qui da una ventina d’anni, una volta all’anno accettano di aprire i loro atelier al pubblico, in genere è l’ultimo fine settimana di novembre. Quest’anno non abbiamo ancora deciso la data ma la inseriremo presto sul sito www.fornacecurti.it».


Una richiesta agli amministratori?
«Alla sovvenzione non ci pensiamo ma almeno non penalizzateci con le tasse. Prendiamo i rifiuti. La nostra azienda è assolutamente ecologica, il cotto viene rimacinato e riutilizzato: non ci sono inquinanti. Eppure paghiamo esattamente come un’industria chimica di 8mila metri quadrati».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica