Passato per cristiano, dunque antiebraico, il regista di The Passion si rivela in Apocalypto regista pagano, dunque non cristiano e perfino politicamente corretto!
È dura impallinare Mel Gibson, anche per i tanti che, a Hollywood e nelle redazioni, gliel'hanno giurata... Più intelligente di loro, non si lascia inquadrare nel mirino del terrorismo intellettuale: sarà cinquantunenne e alcolizzato, ma corre e scarta improvvisamente, spiazzando nemici che, sebbene perfidi, procedono lenti.
Abile nel dare ai cristiani, cinematograficamente disorientati, il film che da decenni volevano, senza osare chiederlo, con The Passion; abilissimo nel «creare l'evento», aggirando l'intellighenzia; addirittura machiavellico nell'attribuire torture ed esecuzione di Gesù a militari romani, indifferenti alle sette giudaiche, anziché a sacerdoti ebrei, che le temevano, Gibson firma ora con Apocalypto un film che corre meno sul filo del rasoio. Ma che fa comunque parlare di sé ancora prima di essere uscito.
Per la sorprendente capacità d'apparire cattolico quasi quanto il papa, un film di Gibson ormai appare in Italia sempre e comunque senza divieti ai minori. Per Apocalypto è giusto così: c'è iperviolenza, ma infinitesimale rispetto a quella di The Passion. E se The Passion non era vietato, tanto meno si poteva vietare Apocalypto.
Altrove le censure sono state meno tolleranti. Negli Stati Uniti, per esempio, il divieto è ai minori di diciassette anni. In vari Paesi europei l'età scende, ma il divieto resta. Perché? Per uomini e tapiri trapassati da pali appuntiti, per cuori estratti pulsanti con pugnali di selce da corpi ancora scalcianti, per decapitazioni con l'ascia e sgozzamenti vari.
Privati della visione di questi scempi, tipici di razzie e guerra di cinque secoli fa - Apocalypto si svolge nel 1512 - e poca cosa rispetto a quelle di oggi, i minori potranno vederle fra pochi mesi, senza nemmeno aver raggiunto l'età prescritta dal divieto, quando il film sarà in vendita in dvd (comunque è già su Internet). E, se sono adolescenti americani o britannici, potranno arruolarsi entro un anno dal diciassettesimo e andare a vedere, di persona, i prodigi cruenti della tecnica nella realtà.
Ma torniamo alla finzione. Apocalypto ha come ingrediente-base la vicenda Rambo - una caccia all'uomo su uno sfondo selvaggio - e come condimenti vari altri film: da I re del sole di J. Lee Thompson, per il contesto maya, a Non è più tempo di eroi di Robert Aldrich, per la fuga a zig zag sotto i colpi nemici; ma qua e là affiorano anche tratti de La foresta di smeraldo di John Boorman; siamo lontani invece, per il ritmo sostenuto, dal soporifero ed enfatico The New World di Terrence Malick.
Poi c'è un dettaglio che si apprezza sempre più: il mantenimento della lingua originale - maya in questo caso - e il ricorso ai sottotitoli. Gibson ritiene che i suoni di un'area e di un'epoca vadano conservati: ha ragione. Che liberazione non sentire l'enfasi che trasforma ogni film, per asciutto che sia, in una soap-opera; sottrarsi al lessico spesso anacronistico e i luoghi comuni ai quali ci hanno abituato traduttori pigri e doppiatori stanchi, assuefatti alle grossolanità televisive.
Altro dettaglio pro Apocalypto; fra gli interpreti nessuna faccia nota, quindi nessuna prevedibilità dei personaggi. I principali dei quali sono affidati a professionisti messicani (si è girato nello Yucatan), tenuti più a correre e a morire che a dire battute presunte profonde. Gibson affida queste ultime ai figuranti, incaricati di profezie generalmente sinistre (di qui il titolo). Ma salva il protagonista con un evento molto particolare, un'eclisse, e ne testimonia ulteriormente il favore naturale - panico, si diceva una volta - con vari interventi animali, di sapore kiplinghiano: il giaguaro che scanna un inseguitore, il serpente che ne avvelena un altro.
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