Politica

Referendum, l’Unione mette ai voti la guerra tra Prodi e Rutelli

Tabacci (Udc) rilancia l’ipotesi di un nuovo schieramento e agita maggioranza e opposizione

Diana Alfieri

da Roma

All’offensiva prodiana a colpi di sondaggio - per Piepoli una lista col nome del professore otterrebbe una percentuale sul 18% - Francesco Rutelli sceglie una risposta doppia. Da un lato fa sapere, quasi conciliante, che potrebbe anche considerare l’ipotesi di un doppio simbolo (Margherita e Unione) nel maggioritario. Dall’altro affida a un editoriale di Europa, il quotidiano dei Dl, un avvertimento più crudo: dato che l’annuncio di una lista prodiana può esser considerato come minimo «una forma di pressione», va da sé che un suo concretizzarsi non darebbe più per scontata la leadership prodiana. E dunque non sarebbero scontate più a quel punto «eventuali primarie vere (diverse da quelle finte fin qui accettate da tutti)».
Rutelli uno. E Rutelli due. Il primo col guanto di velluto, il secondo col guantone da boxe. Dove sta la verità? Probabilmente nel mezzo. Si aspetta l’evolversi della situazione a cominciare dal referendum. Anche perché all’interno della Margherita tutti sanno perfettamente - al di là dei dinieghi di rito - come un successo degli abolizionisti premierebbe Romano Prodi che anche ieri è tornato a far sapere che si recherà alle urne. Mentre una vittoria delle astensioni darebbe a Rutelli parecchie carte in più nella partita che si aprirà da lunedì sera.
Le truppe dei due schieramenti insomma, restano schierate e con le armi in pugno. Tant’è che nonostante l’impegno di Fassino, il quale anche ieri è tornato a indossare le vesti del pompiere rilevando come «abbiamo bisogno di Prodi e della Margherita, assieme. Ne abbiamo bisogno come il pane», continuano a incrociarsi le frecciate tra militi rutelliani e truppa prodiana. Di quest’ultima fa parte Antonio La Forgia che dice di aver visto nella proposta di Rutelli del doppio simbolo «dopo una riproposizione stanca e annoiata di argomenti già svolti», nient’altro che «il ricatto rivolto agli ulivisti della Margherita affinché si adattino a restare piombati dentro il vagone di un treno che sta cambiando binario». Dall’altra parte la replica è affidata al mariniano Fioroni il quale si dice «molto amareggiato» delle accuse di Parisi nei confronti di chi vuole astenersi nel referendum: «Inaccettabile - dice - che si possa snaturare l’essenza del centrosinistra e dell’Ulivo ritenendo che chi dissente dall’orientamento prevalente divide ed è a quel punto anche sgradito!».
Che si possa iniziare a sparare alzo zero sono non pochi a metterlo in preventivo. Del resto ambienti prodiani, dopo il sondaggio di Piepoli, proprio l’altro giorno avevano fatto filtrare la voce che anche un altra azienda demoscopica aveva confermato come una lista del professore possa avere gran successo, ai danni di Ds e Margherita. Alcuni giornali avevano anzi parlato senza peli sulla lingua dell’Eurispes che però, ieri, è intervenuta smentendo qualsiasi analisi sull’argomento. «Vero, non è l’Eurispes, ma l’Eurisko i cui risultati saranno resi noti a giorni» la replica dei prodiani. Che però non hanno fornito i dati che si accreditavano l’altro giorno. Poco male. Prodi par convinto del fatto suo. Agita sempre la possibilità di marciare per conto proprio. E si complimenta del fatto che siano già stati in 309mila a visitare il suo sito web dove ha pubblicato il «manifesto di Creta» su cui il fronte rutellian-mariniano giorni fa aveva espresso non poche riserve, anche ironiche.
Il clima insomma è caldo. E l’esito del referendum non potrà che rinfocolare gli animi. Anche perchè tutto intorno non è che le cose restino ferme. Nei Ds aumenta il disagio. I verdi, con Pecoraro Scanio ipotizzano una lista arcobaleno aperta a Pcdi e a quant’altri del movimento vogliano prendervi parte. Bertinotti a sua volta avverte il rischio che «il sommovimento di oggi finisca per divenire instabilità». Secondo lui Rutelli aspetta che la fine della legislatura riporti in vita il proporzionale. E allora si prepara chiarendo che il vecchio schema riformista non lo interessa più.

Lui - dice Bertinotti - «sceglie un rapporto privilegiato col Vaticano e gli Usa» nonché «di stare al confine delle politiche del governo quando si stacca dagli estremisti, provando così a intercettare altre forze».

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