Il regista: «Dopo 40 anni di cinema per la prima volta parlo anche di me»

La pellicola è girata nella casa bolognese dove il cineasta visse da bambino

da Roma

«Dopo i miei primi quarant’anni di cinema, mi regalo un film che tiene conto della mia storia umana», spiega Pupi Avati, presentando Il papà di Giovanna, commedia drammatica sul rapporto padre-figlia, dove recitano Silvio Orlando (fa Michele, padre compassionevole), Francesca Neri (nella parte di Delia, ex-mantenuta e moglie di Michele), Ezio Greggio e Alba Rohrwacher (nel ruolo di Giovanna, adolescente che uccide a rasoiate la sua migliore amica e compagna di banco, dopo averla sorpresa a baciare un ragazzo, amato anche da lei). Prodotto da Duea Film, in collaborazione con Medusa e con Sky, il nuovo lavoro di Avati andrà al Festival di Venezia. «Venezia mi ha sempre portato bene, fin dai tempi di Una gita scolastica e mi auguro d’entrare nella selezione», commenta Pupi, che qui dirige anche Serena Grandi, dimagrita e in forma dopo le sue disavventure giudiziarie. «Con Avati, bolognese come me, è nato un feeling di tortellini», dice la Grandi, qui paraplegica su sedia a rotelle («Ho recitato con gli occhi», specifica lei). Girato tra Bologna, Maggiano e Roma, Il papà di Giovanna inizia nella Bologna del 1938, dove si consuma un delitto efferato, e termina nel 1945 a Reggio Emilia, nel cui carcere psichiatrico viene rinchiusa l’assassina, che però tutti s’industriano a capire e ad aiutare. «Non è un film autobiografico, sebbene sia girato nella casa della mia infanzia bolognese, in via San Vitale 51, da me ricostruita con lo stesso pavimento in graniglia, che ricordavo da piccino.

Anche Tornatore gira un film, ricostruendo il set della sua infanzia? Che imbarazzo... Allora, io più di lui!», scherza il regista, che ha amato indagare sulle complesse dinamiche familiari. «Ho la sensazione d’aver fatto un film con un grande cuore».

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